ALESSANDRIA. Da soli si va più veloce, in tanti più lontano»: è il motto di Paola Testa, architetto in Comune dove è disability manager. Grazie al bagaglio professionale raccolto negli anni nei settori in cui ha lavorato (Urbanistica, Lavori Pubblici, Ufficio tecnico del traffico, Patrimonio, Demanio), ha abbracciato il ruolo di coordinamento e governance delle politiche di inclusione e dell’Universal design a servizio di chi ha esigenze particolari e non solo perché madre di un figlio autistico.
È sempre di corsa per i tanti impegni: correre, del resto,
le è sempre piaciuto tanto da partecipare a maratone come quella di Venezia e
la mezza di Firenze, ora si limita a camminare sugli argini. Appassionata di
ginnastica artistica, disciplina in cui ottenuto ottimi risultati, l’ha anche
insegnata nelle squadre agonistiche dei Vigili del fuoco fino a quando, vicina
alla laurea conseguita nel 1985, si è accorta di aver altro per la testa. È
stata presidente dell’Associazione “Rilanciamo Alessandria”, oggi
scomparsa, si spende per sensibilizzare i cittadini al rispetto dell’ambiente
realizzando corsi di perfezionamento universitario, i project manager, è stata
docente universitaria nel corso del Disability Management, collaborato con il
Comitato italiano paralimpico e tant’altro ancora.
Perché la scelta di diventare architetto?
«Cresciuta nei cantieri di mio padre, imprenditore nel settore movimento terra,
un fratello architetto, mi è parso logico, finito il Plana, entrare al
Politecnico di Torino anche se papà non era affatto d’accordo. Nel ’90 dopo il
concorso sono entrata in Comune dove mi sono occupata di tutto e di più, dal
2010 sono Disability Manager».
Qual è esattamente il suo ruolo?
«L’abbattimento delle barriere architettoniche per migliorare la vita dei
disabili, in città più numerosi di quanto si pensi. Coordino la rete con le
associazioni di volontariato e disabilità e il legame fra loro e il Comune è
molto stretto. Non è un lavoro facile, è gratificante anche se rendere la città
accessibile a tutti è impossibile: le esigenze variano da disabilità a
disabilità. Lo scalino, ostacolo per chi è in carrozzina, per esempio, facilita
invece l’orientamento del cieco».
Si può, al di là degli ostacoli, migliorare la qualità della vita e giungere
alle pari opportunità?
«Ci stiamo impegnando. Nel 2019 in Comune si è istituito un tavolo, il Peba,
Piano di eliminazione barriere, diretto dall’architetto Fabrizio Furia, di cui
sono responsabile, con il coinvolgimento di architetti, ingegneri, geometri,
Università: organizza corsi per la formazione dei nuovi professionisti
dell’inclusione attraverso un piano triennale per eliminare le barriere nei
fabbricati pubblici e nei percorsi di mobilità urbana. Una laurea come la mia è
fondamentale. Dopo Parma, la nostra città è l’unica in Italia ad aver
organizzato questo ufficio».
La malattia di suo figlio ha inciso sulla sua predisposizione verso i deboli?
«Certamente sì, anche se stare dalla loro parte è nel mio Dna. Francesco ha 30
anni, non parla, ma è sereno, nuota, va a sciare, in palestra, in bici, gioca a
calcio. Mai mi ha causato disagio o vergogna, anzi mi è di sprone per guardare
avanti e occuparmi dei deboli. Lui mi ha dato il senso della vita, io gli ho
regalato la serenità del vivere quotidiano. L’altro mio figlio, Federico, 27 anni,
che vive con me, mentre Francesco abita a Novi con il padre, è sempre in giro
per il mondo come meccanico ciclista di un’azienda olandese nel settore delle
biciclette. I due si vogliono un gran bene anche se la malattia del primogenito
gli impedisce di dimostrarlo a parole».
In città c’è sensibilità al problema dei disabili?
«C’è un grande patrimonio di volontariato e le 50 associazioni che se ne fanno
carico costituiscono l’eccellenza cittadina. Un migliaio di volontari, con
l’aggiunta dei club di servizio, permettono di camminare spediti su questa
strada e in realtà gli alessandrini sono rispettosi nei confronti dei disabili.
La nota dolente sono quegli automobilisti che non rispettano soprattutto gli
scivoli. La città è all’avanguardia in tema di pari opportunità e nel 2016 ha
ricevuto una menzione speciale della Commissione Europea nel concorso Access
city award, una simulazione attuata con tutte le scuole».
Occuparsi degli altri, e non solo per lavoro, lascia spazio alla vita privata?
«No, ma che importanza ha? Ciò che conta è dare voce a chi non ne ha e vedere
sorridere chi ha pochi motivi per farlo ripaga di tante rinunce».
di Emma Camagna da La Stampa del
01.03.2020
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