Un ambulatorio che garantisce l’accesso alle prestazioni ginecologiche per le donne con disabilità anche grave, un progetto che propone percorsi per prendersi cura di se stessi e cercare il proprio stile di rappresentazione, un Servizio Antiviolenza rivolto sia a donne che a uomini con disabilità e altre iniziative ancora: sono i tanti modi con cui l’Associazione Verba contrasta la discriminazione multipla delle donne con disabilità. Le parole delle sue responsabili ci aiutano a conoscere meglio questa organizzazione, nata nel 1999 a Torino.
Contrastare la discriminazione multipla che riguarda le donne con disabilità è
una delle “anime” che ispira l’agire dell’Associazione Verba di Torino. Verba
gestisce, in collaborazione con l’ASL Città di Torino – Consultori Familiari,
l’ambulatorio Il Fior di Loto, creato per garantire l’accesso alle prestazioni
ginecologiche alle donne con disabilità anche grave. Inoltre, attraverso il
progetto Ben-Essere, propone percorsi per prendersi cura di se stessi e cercare
il proprio stile di rappresentazione. E ancora, offre un Servizio Antiviolenza
rivolto sia a donne che a uomini con disabilità. Infine, gestisce o collabora
ad ulteriori progetti, ad esempio di sostegno psicologico o di contrasto al
bullismo in àmbito scolastico, nei quali la questione di genere potrebbe non
essere preminente. È tuttavia difficile che, anche in relazione ad essi, uno
sguardo allenato non sappia coglierla qualora si ponga.
Conosciamo ancor meglio questa organizzazione, ponendo alcune domande alle
responsabili di essa.
Anche altre Associazioni di persone con disabilità si occupano del contrasto
alla discriminazione multipla che riguarda le donne con disabilità, ma voi ne
avete fatto una vera e propria “anima” che ispira il vostro agire. Come mai?
«Siamo nate nel 1999, quando non c’erano i social (e se c’erano nessuna di noi
aveva un profilo) e quando nessuna di noi aveva ancora letto l’elaborazione del
concetto di discriminazione intersezionale elaborato da Kimberlé Crenshaw. Più
semplicemente, da donne con disabilità, vivevamo sulla nostra pelle il peso del
“doppio svantaggio”: i nostri amici con disabilità uomini erano, rispetto a
noi, più facilitati soprattutto nelle relazioni e nel mondo del lavoro. Ci
siamo così dette che forse, insieme, avremmo potuto fare qualcosa per tutte,
facendo cultura, dando visibilità al tema, dando voce a chi non ne aveva o
pensava di non averne, dimostrando che siamo donne. La disabilità è, poi, una
delle nostre caratteristiche. Forse non la nostra preferita, certo!».
Uno degli scopi dell’ambulatorio Il Fior di Loto è quello di garantire
l’accesso alle prestazioni ginecologiche alle donne con disabilità anche grave.
A tal fine sono previsti accorgimenti diversi che considerano le diverse forme
di disabilità. L’avere predisposto servizi adeguati è stato sufficiente ad
indurre le donne con disabilità a fruirne alla pari delle altre donne oppure
avete riscontrato ulteriori resistenze? E in tal caso, di che tipo?
«Sono doverose due premesse: la prima è che senza la sensibilità, la
collaborazione e la competenza della dottoressa Maria Clara Zanotto,
responsabile dell’SS Percorso Nascita dell’ASL Città di Torino, l’ambulatorio
dedicato non sarebbe mai nato. È stata lei a permettere che i dati della nostra
ricerca sull’incidenza dei tumori femminili nelle donne con disabilità non
fossero un mero esercizio di stile, ma un punto da cui partire per aprire i consultori
alle donne, tutte.
La seconda è che spazi strutturalmente adeguati, sebbene siano fondamentali,
risolvono solo in parte il problema dell’accessibilità di una struttura, poiché
non esiste una sola disabilità e ogni persona necessita di risposte specifiche
studiate sulla base delle singole esigenze. Ne consegue che per garantire
l’accessibilità non è sufficiente eliminare un gradino. Serve un luogo che
preveda tempi più lunghi per svestirsi, rivestirsi, fare i passaggi posturali
con o senza sollevatore, contemplare più tempo per le traduzioni
dell’interprete LIS [Lingua dei Segni Italiana, N.d.R.] o per l’accoglienza di
una donna con disabilità intellettiva spaventata.
Ad oggi Il Fior di Loto prevede 60 minuti per le prime visite, 30 minuti per le
visite di controllo e 15 minuti per i pap test (a fronte dei 2 previsti dal
Programma Regionale per la Prevenzione Oncologica) oltre a un’équipe
multidisciplinare (ginecologa, ostetrica e psicologa) che permette di erogare
più prestazioni in unico appuntamento, facilitando, così, chi ha difficoltà di
spostamento.
La risposta alla domanda è quindi affermativa e il numero sempre crescente di
nuove pazienti lo conferma. Molte donne di oltre 50 anni riferiscono di
prenotare il primo pap test della loro vita perché “adesso posso farlo”.
Molte donne sorde, inoltre, decidono di venire da noi perché la presenza
dell’interprete permette loro di non dover condividere le informazioni con
parenti e amiche a cui sarebbe inevitabile ricorrere in caso di assenza.
Per le donne con disabilità intellettiva, poi, risulta importante, forse ancor
più che per le altre, la continuità terapeutica: infatti, trovare sempre la
stessa ginecologa si è rivelato utile a calmare diffidenza e stati ansiosi».
Un altro obiettivo del Fior di Loto consiste nel contrastare e prevenire
fenomeni di violenza, abuso e maltrattamento ai danni di uomini e donne con
disabilità. Avete fatto la scelta coraggiosa di rivolgere la vostra attività
non solo alle donne con disabilità – che, come sappiamo, sono esposte alla
violenza più delle altre donne -, ma anche agli uomini con disabilità. Quali
ragioni vi hanno indotto ad impostare il servizio in questo modo?
«Le attività dell’ambulatorio, per sua natura, si rivolgono unicamente alle
donne e, in origine, lo erano anche quelle del Servizio Antiviolenza Disabili.
Nel tempo, però, ci siamo rese conto che sempre più spesso anche gli uomini ci
chiedevano aiuto. Abbiamo quindi avviato un’analisi interna alla nostra équipe
a seguito della quale abbiamo compreso che, quando si parla di disabilità, non
si parla solo di violenza di genere, ma anche di violenza sul fragile. Per
questo motivo abbiamo ripensato alla strutturazione del Servizio e, a
differenza dei Centri Antiviolenza che prevedono la presenza di unicamente di personale
femminile, noi abbiamo anche psicologi ed educatori uomini».
Da quanti anni è attivo il Servizio Antiviolenza? E siete in grado di fornirci
qualche dato disaggregato per genere circa gli/le utenti del servizio (numero
di utenti, tipologia di violenza, profilo dell’aggressore)?
«Il Servizio Antiviolenza è attivo dal 2014 e nell’ultimo anno è diventato
formalmente Sportello collegato al Centro Antiviolenza del Comune di Torino.
Nel 2019 abbiamo avuto 73 accessi di persone con disabilità di cui 12 uomini.
Il 78% presenta una disabilità intellettiva, l’8% sensoriale e il restante
fisico-motoria.
Tracciare l’identikit dell’aggressore risulta più complesso e per una risposta
precisa è necessario declinare le varie tipologie di violenza: rispetto alla
violenza sessuale, troviamo per lo più persone conosciute in chat che hanno
abusato della persona al primo appuntamento, ma in qualche caso ci siamo
trovati anche di fronte a veri e propri adescamenti avvenuti in luoghi
pubblici.
La violenza domestica è agita per lo più dal coniuge (non solo mariti, ma anche
mogli), in alcuni casi da figli e figlie, di rado (un solo caso, nella nostra
esperienza) dai genitori».
Prendersi cura di se stessi/e e degli/delle altri/e in un percorso individuale
e collettivo per riappropriarsi della propria immagine e cercare il proprio
stile di rappresentazione: è quanto proponete con il progetto Ben-Essere e i
laboratori di “trucco e visagismo”. Che tipo di adesione ha trovato questo
servizio?
«Il progetto Ben-Essere nasce in forma embrionale circa vent’anni fa e si
struttura nel 2010 grazie alla nostra collaborazione con il Servizio
Passepartout del Comune di Torino. Nel tempo, vista la richiesta sempre
crescente, le volontarie che gestivano i laboratori hanno costituito una loro associazione,
PUOI (Promozione Uguaglianza Opportunità Inclusione), che si occupa
esclusivamente di questo.
L’adesione al progetto è da sempre molto alta: lo scorso anno hanno partecipato
ai laboratori oltre trecento persone con disabilità o in particolari situazioni
di fragilità.
Numeri tanto alti si spiegano, secondo noi, per la possibilità di un approccio
non medicalizzato nella cura del proprio corpo: non fisioterapia, ma smokey
eyes [in italiano significa letteralmente “occhi fumosi”, ed è un trucco che mette
in risalto gli occhi colorandoli con tonalità intense e forti, N.d.R.], non
iniezioni di farmaci, ma manicure, non il tocco doloroso di un medico, ma
quello piacevole di un massaggio al viso. E poi, a chi non piace sentirsi
carina?».
Simona Lancioni,
Responsabile di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli
(Pisa), nel cui sito il presente servizio è già apparso e viene qui ripreso –
con alcuni riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione.
Per approfondire il tema Donne e disabilità, suggeriamo innanzitutto di fare
riferimento al lungo elenco di testi da noi pubblicati, presente a questo link,
nella colonnina a destra dell’articolo intitolato Voci di donne ancora
sovrastate, se non zittite, nonché alle Sezioni che si trovano nel sito di
Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa), su
Donne con disabilità, Donne con disabilità: diritti sessuali e riproduttivi e
La violenza nei confronti delle donne con disabilità.
Di Simona Lancioni da Superando.it del 11.03.2020
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