«In momenti di crisi come quello presente – scrive Giampiero Griffo – risorgono stigma atavici, valutazioni sul valore di persone che hanno caratteristiche “socialmente indesiderabili”, trattamenti differenti che colpiscono le persone con disabilità. Finché infatti saremo “cittadini invisibili”, considerati “speciali”, finché non faremo parte realmente della società e le politiche più generali non si occuperanno delle persone con disabilità, saremo sempre sottoposti a rischi maggiori di limitazione dei nostri diritti e a trattamenti differenti, che spesso violano i nostri diritti umani».
La diffusione del coronavirus, come ha affermato Tedros Adhanom Ghebreyesus,
direttore generale dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), ha
raggiunto ormai il livello di pandemia, cioè di malattia infettiva diffusa in
almeno due continenti e in più di cento Paesi.
Gli interventi del Governo Conte – drastici ma necessari – sono arrivati a
scombussolare le abitudini di vita più comuni: dal caffè al bar, alle quattro
chiacchiere dal barbiere, dallo shopping, alla movida dei giovani.
In questo contesto, dove ognuno si sente limitato nelle proprie libertà, cosa
sta succedendo per le persone con disabilità?
Il tema sollevato da qualche giorno dalle Federazioni delle Associazioni di
persone con disabilità e dei loro familiari [se ne legga anche sulle nostre
pagine, nell’articolo “Emergenza coronavirus: chiediamo un’attenzione specifica
per la disabilità”, N.d.R.] ha stentato ad essere preso in considerazione dalle
autorità competenti: perché?
Intanto perché siamo spesso ancora “cittadini invisibili”, considerati
“speciali”, di cui si occupano gli “specialisti”. Rientriamo con difficoltà
nelle politiche generali in cui siamo dimenticati; in Italia, poi, il
mainstreaming della disabilità, ovvero l’inserimento di quest’ultima in tutte
le politiche e la legislazione che incidono sulla vita delle persone, è
veramente quasi ignorato del tutto. Il tema è rimasto quindi nelle mani delle
Regioni, che “in disordine sparso” hanno definito in maniera separata i
comportamenti da assumere.
I temi sollevati dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento
dell’Handicap) e dalla FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle
Persone con Disabilità) riguardavano tre aree di interventi: la protezione
della salute delle persone con disabilità uguale agli altri cittadini, il
proseguimento degli studi a distanza anche con la scuole chiuse, il sostegno
alle famiglie che abbiano al proprio interno persone con disabilità.
Ormai da una settimana, infatti, le due Federazioni hanno chiesto al Governo di
regolamentare la chiusura anche dei servizi legati alle persone con disabilità,
in particolare i centri diurni e le strutture riabilitative, dove i rischi di
contaminazione sono uguali a quelli degli altri luoghi pubblici, con in più
l’aggravante della difficoltà di far rispettare le regole di comportamento
precauzionale indicate dal Governo stesso (indossare le mascherine, lavarsi le
mani spesso, tenersi a un metro di distanza da un’altra persona), sia da parte
degli utenti che, spesso, dagli stessi operatori.
Alcuni di questi centri – rispetto ai quali le famiglie per precauzione
preferiscono che i propri figli restino a casa – hanno visto presenze di
operatori superiori al numero di persone beneficiarie, proprio perché spesso
gli operatori di alcune cooperative sociali hanno contratti che prevedono il
pagamento solo in presenza.
Naturalmente anche questi lavoratori dovrebbero essere inclusi nelle tutele che
il Governo sta preparando, anche se i regimi contrattuali spesso atipici lo
rendono complesso.
Lo stesso vale per i sostegni alle famiglie di persone con disabilità, che
dovrebbero essere di tipo amministrativo (maggiori possibilità di utilizzare i
permessi retribuiti da parte di ambedue i genitori che lavorano), oltreché di
tipo economico.
Il tema dei servizi domiciliari sostitutivi, anch’essi richiesti, mostra da un
lato la carenza di tali servizi in tutta Italia e dall’altro lato la poca
flessibilità dei welfare regionali, che pur essendo ancora welfare di
protezione nel campo della disabilità, hanno forti difficoltà ad affrontare le
situazioni di emergenza.
Infine, il tema della continuità dell’insegnamento anche in presenza della
chiusura delle scuole, ampiamente affrontato sulle pagine di «Superando.it», ha
mostrato l’inadeguatezza dei servizi educativi a tener conto delle esigenze di
tutti gli studenti.
Due nuovi temi inquietanti vorrei però portare qui all’attenzione dei Lettori.
Si tratta di temi bioetici che – in situazioni di emergenza – sembrano emergere
da presenze carsiche spesso sottovalutate, che però hanno a che vedere con il
forte stigma sociale che colpisce le persone con disabilità.
Il primo è quello dell’uguaglianza di opportunità nei trattamenti sanitari. Già
nei social network si era iniziato a sollevare il tema: se le risorse di posti
letto e di macchinari sono limitate, se si dovesse scegliere chi assistere per
primi, chi si dovrebbe “scartare” (per usare una terminologia simile a quella
di Papa Francesco)? I giovani o gli anziani? Le persone “normali” o le persone
con limitazioni funzionali gravi?
Già filosofi morali malthusiani come Peter Singer avevano sollevato il problema
per le persone con disabilità intellettiva, sostenendo che esse siano
“sub-umane”, al punto di ritenere la violenza sessuale su queste persone non
punibili.
Il 6 marzo scorso la SIAART (Società Italiana di Anestesia, Analgesia,
Rianimazione e Terapia Intensiva) ha diffuso le Raccomandazioni di etica
clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione, in
condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili
(disponibile a questo link).
All’interno di questo documento si inserisce il triage di valutazione su coloro
che dovessero, in situazione di scarsità di risorse strumentali, logistiche e
di personale, essere selezionati negli interventi di terapia intensiva.
Il triage – termine francese che significa “cernita”, “smistamento” – è un
sistema utilizzato per selezionare i soggetti coinvolti in infortuni secondo
classi di urgenza/emergenza crescenti, in base alla gravità delle lesioni
riportate e del loro quadro clinico. In questo caso si applica a pazienti che
devono essere trattati in terapia intensiva.
Ancora una volte l’elemento economico è alla base di queste raccomandazioni. Si
valutano infatti le probabilità di sopravvivenza, le aspettative di vita, le
comorbilità severe, lo status funzionale, con l’ottica della «massimizzazione
dei benefìci per il maggior numero di persone».
Leggendo fra le righe le persone più colpite risultano quelle anziane
(probabilità di sopravvivenza, aspettative di vita) e quelle con disabilità (le
comorbilità severe, lo status funzionale). Il tema dei rispetto dei diritti
umani viene messo in secondo piano, ossia qualcuno dovrà scegliere chi
assistere e chi no.
Il testo parla di criteri clinici oggettivi, e tuttavia questa presunta
oggettività è fortemente inquinata da pregiudizi e stigma. Si pensi a uno
scienziato come Stephen Hawking sottoposto a questa forma di triage, oppure a
una persona con disabilità intellettiva: quest’ultima avrebbe una comorbilità
severa o uno status funzionale tale da essere scartata dai trattamenti medici?
Oggi i progressi della scienza medica, enormi, sono sempre più sottoposti a
criteri di accesso in cui le persone con disabilità o gli anziani rischiano di
essere esclusi. Ma a che serve lo sviluppo scientifico se poi si applica a un
numero limitato di pazienti? Lo sviluppo economico dovrebbe essere alla base
del supporto dei diritti umani delle persone o invece viene scelto solo il
criterio economico per garantire i diritti di un numero limitato di persone?
Lo abbiamo visto per i casi di quei bambini ai quali i tribunali inglesi hanno
deciso di sospendere le cure. Le caratteristiche delle loro patologie non sono
degne di essere studiate, per poter trattare in maniera migliore altri casi
analoghi?
Bene ha fatto il direttore della Struttura Complessa di Anestesia e
Rianimazione dell’Ospedale Niguarda di Milano, professor Roberto Fumagalli,
docente di Anestesia e Rianimazione all’Università Milano-Bicocca, a ricordare
che nella sua struttura quel triage non si applica, né tanto meno in situazioni
di emergenza.
Lo stesso Comitato di Bioetica della Repubblica di San Marino qualche tempo fa
ha licenziato due documenti sull’Approccio bioetico alle persone con disabilità
o sulla Bioetica delle catastrofi in cui veniva denunciata la mancanza di
rispetto dei diritti umani delle persone con disabilità e un uso poco
rispettoso dei diritti umani nell’applicazione del triage su persone con
disabilità in caso di emergenza [i due documenti sono entrambi disponibili,
rispettivamente a questo e a questo link, N.d.R.].
L’altro tema è quello della protezione dei diritti umani delle persone anziane
e delle persone con disabilità segregate negli istituti e a sollevarlo è stato
il Garante Nazionale dei Diritti delle Persone Detenute o Private della Libertà
Personale per le Persone private dalla libertà.
In un suo comunicato diffuso ieri, 12 marzo [disponibile integralmente a questo
link, N.d.R.], ha sottolineato infatti che «viste le limitazioni previste alla
lettera q) del DPCM dell’8 marzo 2020 che prevede che “l’accesso di parenti e
visitatori a strutture di ospitalità e lungo degenza, residenze sanitarie
assistite (Rsa), hospice, strutture riabilitative e strutture residenziali per
anziani autosufficienti e non, è limitato ai soli casi indicati dalla direzione
sanitaria della struttura che è tenuta ad adottare le misure necessarie e
prevenire le possibili trasmissioni di infezione”, pur ritenendo le restrizioni
opportune al fine di prevenire la diffusione della pandemia, manifestiamo
preoccupazione in merito alle ripercussioni che tali limitazioni possono avere
all’interno delle strutture per persone con disabilità e anziane, se non opportunamente
monitorate e controllate. La situazione espone, infatti, a elevato stress sia
gli ospiti che gli operatori. Questo comporta un incremento del rischio di
comportamenti conflittuali, di maltrattamento o di abuso degli strumenti di
contenzione».
A questo proposito il Garante richiama l’attenzione nel merito di tutti coloro
che operano nel settore socio-sanitario e socio-assistenziale, raccomandando a
tutte le Direzioni delle strutture e alle Autorità Regionali di controllo di
«vigilare sulle strutture con massima attenzione, data la drastica riduzione
del controllo informale esercitato dalla comunità esterna conseguente, alle
restrizioni all’accesso».
Queste raccomandazioni provenienti da un’Autorità che interviene per proteggere
i diritti umani mostrano ancora una volta che le segregazioni in luoghi
speciali e separati dalla società sono “soluzioni” che possono portare a
violazioni di diritti umani, a trattamenti inumani e degradanti, e che la
società dovrebbe attivarsi per trovare soluzioni alternative, rispettose della
qualità di vita e adeguate a mantenere contatti con le comunità cui
appartengono.
Alcune considerazioni, in conclusione. In momenti di crisi risorgono stigma
atavici, valutazioni sul valore di persone che hanno caratteristiche “socialmente
indesiderabili”, trattamenti differenti che colpiscono le persone con
disabilità.
Finché saremo “cittadini invisibili”, considerati “speciali”, finché non faremo
parte realmente della società e le politiche di mainstreaming non si
occuperanno delle persone con disabilità, saremo sempre sottoposti a rischi
maggiori di limitazione dei nostri diritti e a trattamenti differenti senza
giustificazione che spesso violano i nostri diritti umani.
La visibilità e la promozione di azioni di denuncia e di proposte dev’essere un
momento essenziale dell’opera delle Associazioni e delle Federazioni di persone
con disabilità. L’applicazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone
con Disabilità, ratificata dall’Italia nel 2009 e da 181 Paesi aderenti alle
Nazioni Uniti (il 94% di essi) richiede di passare da un welfare di protezione
– che però ci tratta spesso, senza giustificazione, in maniera differente,
considerandoci fragili e vulnerabili – ad un welfare di inclusione, dove siamo
cittadini a pieno titolo, disabilitati e vulnerati da politiche e trattamenti
speciali e segreganti, e dobbiamo beneficiare al pari degli altri cittadini
dello sviluppo, di beni e servizi per tutti, di politiche generali con gli
appropriati sostegni, anche in situazioni di emergenza.
Giampiero Griffo,
Presidente di DPI Italia (Disabled People’s International), organizzazione
aderente alla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
Di Giampiero Griffo da Superando.it del 13.03.2020
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