La denuncia dei caregiver: «I nostri figli hanno bisogno di assistenza 24 ore su 24. Gli infermieri non vengono più nelle nostre case, non abbiamo aiuti. E il decreto del Governo ci considera cittadini di serie C».
«Le famiglie dei disabili sono invisibili solo perché il governo ha deciso
di non guardarle, non vuole». La denuncia arriva dai caregiver, cioè da quelle
famiglie che si occupano di una persona disabile 24 ore su 24. È nelle
testimonianze e nelle voci di coloro che in questi giorni di allarme da
Coronavirus segnalano difficoltà ulteriori, emergenze all’emergenza. Elena
Improta, mamma e caregiver di Mario, gravemente disabile, nonché presidente di
Oltre lo sguardo onlus e tra le promotrici della community «2020 sorelle di
cuore» spiega a L’Espresso dove si arena tutto.
Per prima cosa «nella comunicazione». Sono i discorsi istituzionali «troppo
generalisti» ad alimentare le paure: «Non si è mai parlato espressamente di
disabili, solo di anziani e di fragilità. Sappiamo che di fronte agli ospedali
intasati e con la scarsità di terapie intensive i medici dovranno fare una
scelta: cioè salvare la persona più giovane che non ha patologie pregresse e
questo ci preoccupa». Quello che manca, spiega, è un percorso preferenziale per
l’assistenza medica delle persone con disabilità: «Ho paura che implicitamente
stiano dicendo che i nostri figli saranno gli ultimi della lista e i primi che non
avranno un letto in rianimazione. Siamo equiparati a pazienti di scarto e
questo mi terrorizza».
Loredana Fiorini è la presidente dell’associazione Onlus Hermes che si occupa
di persone con disabilità complesse ed è anche un’infermiera, divisa in questi
giorni tra l’ospedale e i bisogni di suo figlio Davide affetto da tetraparesi
spastica: «Capisco il grande sacrificio che viene chiesto a chiunque. Eppure,
le nostre famiglie non vengono neanche pensate» e spiega: «Siamo all’ultimo
decreto e ci sentiamo dimenticati. Solo di recente hanno finalmente nominato le
realtà che accolgono i ragazzi con disabilità, cioè i centri diurni. Vengono
chiusi, va bene. Tanto noi già da marzo non mandavamo i nostri figli perché era
impossibile mantenere le distanze, le precauzioni sanitarie».
Le Onlus si sono organizzati con attività online per continuare le assistenze e
dare un’ora di sollievo ai familiari in isolamento: «Ma per chi ha bisogno di
assistenza infermieristica h24» spiega «è veramente un dramma. Chiaramente si è
data priorità agli ospedali ma per tutte quelle persone ospedalizzate a
domicilio ci sono grosse difficoltà. Non ci sono mascherine, guanti. Lo
sappiamo e le cooperative che hanno a carico i servizi non distribuiscono i
dispositivi agli operatori che a loro volta non effettuano la prestazione e le
famiglie si trovano isolate da qualche giorno. Hanno deciso di sospendere il
servizio»
«Dateci allora la sedazione profonda»
La paura è la musica di questi giorni per chiunque ma per le moltissime
famiglie caregiver con operatori e infermieri, ancora di più. Gli operatori
spesso presi dal panico, se ne vanno e abbandonano famiglia. Come racconta Sara
Bonanno, unica caregiver di Simone, un giovane ormai adulto con una gravissima
disabilità, che richiede assistenza continua, 24 ore su 24: «Non ce l’ho con
gli operatori. Non hanno un contratto che li obbliga a venire, sono tutti a
partita iva e malpagati. Ma quelle come me vivono una situazione tragica».
L’ultimo episodio risale a una settimana fa: «L’ultima infermiera si è
presentata piena di angosce: per il coronavirus, per i genitori. Posso capirlo
ma non mi era di nessun aiuto, l’ho rimproverata dicendole che stava
esagerando, strillava e faceva agitare Simone. Lei se n’è andata un quarto
d’ora dopo essere arrivata. Ora ho un’infermiera in meno»
L’effetto dell’abbandono su una mamma caregiver sola può essere fatale.
Sopporta il peso di una situazione pesantissima ed è sottoposta a una fatica
straordinaria, sia fisica che emotiva: «Io stanotte l’ho passata in piedi
perché mio figlio ha avuto due attacchi epilettici. Ho dormito un’ora solo
quando è venuto l’infermiere. Ho sulle spalle di 36 ore di sveglia». Non certo
una novità di questi tempi, racconta: «Il mio timore è che se un operatore si
ammala io sono finita: comincio non rendermi più conto dei farmaci che ha dato
al figlio, a dimenticare di accendere il respiratore. Stare da soli vuol dire
cominciare a uccidere mio figlio. Nessuno è in grado di lavorare 36 ore di
seguito».
Sara commenta anche la proposta avanza dall’onorevole Mara Carfagna (Forza
Italia), quella di un assegno di 500 euro a favore dei familiari che si
prendono cura h24 dei propri cari disabili: «Che gli dice il cervello?
Venissero a vedere come viviamo. Pensano di darci i soldi e che con questi
risolviamo tutto. Gli operatori non ci sono o non vengono per paura di
ammalarsi. Se lo Stato non vuole occuparsi di noi lo dica. Ci dia la sedazione
profonda, sia a me che a mio figlio, lo dicano, ce ne andremo dignitosamente e
senza soffrire così tanto»
Quello di Sara riflette uno stato di disperazione simile a moltissime famiglie
che attraversano questi giorni senza certezze e con fatica, eppure l’attenzione
del governo e della politica non sembra risultare adeguata o almeno aderente
alla loro quotidianità.
«Il Cura Italia? Ci considera cittadini di serie C»
Nel decreto «Cura Italia» si legge all’articolo 47: «L’Azienda sanitaria
locale, può, d’accordo con gli enti gestori dei centri diurni socio-sanitari e
sanitari di cui al comma1, attivare interventi non differibili in favore delle
persone con disabilità ad alta necessità di sostegno sanitario, ove la
tipologia delle prestazioni e l’organizzazione delle strutture stesse consenta
il rispetto delle previste misure di contenimento»
Ed è quel «può» a non convincere le associazioni: «Il ‘può’ non esiste dovrebbe
essere un dovere» dice Fiorini: «Però non è possibile per una mancanza di
questi materiali. E allora non se ne parla proprio. A noi come familiari non
sentirsi pensati fa male. Servirebbe un impegno: così come si sta attivando la
Croce Rossa, la protezione civile per far fronte gli ospedali dovrebbe esserci
obbligo forte anche per trasferire l’assistenza a domicilio. Un’assistenza
adeguata. Attiviamo tutte le varie Croce Rossa e protezione civile.»
Inoltre, non tutte le persone con disabilità frequentano i centri diurni. Come
il figlio di Elena Improta che non risparmia mezzi termini: «Questo decreto ci
considera cittadini di serie C. Assumiamo direttamente operatori cui non
possiamo garantire le mascherine a norma né una nostra liberatoria li farebbe
sentire meno preoccupati e quindi a uno a uno si stanno mettendo in malattia o
in ferie. Questo decreto non risponde all’emergenza abbandono che ci sta
seppellendo vivi»
Timidi passi si stanno facendo a livello regionale come ammette Dino Barlaam
Presidente FISH Lazio, la Federazione Italiana per il Superamento
dell’Handicap: «Qui si sta lavorando a livello regionale e comunale. Il comune
di Roma ha approvato un ordine del giorno sulle misure sociali però attendiamo
atti concreti. Al di là di questioni di principio abbiamo bisogno di soluzioni
e risposte. Ma le carenze ci sono è inutile negarlo. È impensabile ad esempio
per chi non è autosufficiente venire lasciato solo al pronto soccorso. Abbiamo
suggerito la possibilità di dare la possibilità della presenza di un familiare.
I vuoti ci sono e speriamo che vengano colmati».
di Simone Alliva da L’Espresso del 19.03.2020
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