Le conseguenze sanitarie, economiche e sociali dell’emergenza coronavirus sono oramai sotto gli occhi di tutti e coinvolgono indistintamente ciascuno di noi. Tuttavia, le persone con disabilità, in particolare quelle con patologie croniche o con multi-morbilità, con stati di immunodepressione, con disturbi dello spettro autistico, con patologie oncologiche e, più in generale, tutte quelle che presentano un quadro clinico precario, sono maggiormente esposte, sia ai rischi sanitari derivanti dall’epidemia che alle conseguenti ricadute sociali.
A tal fine, come SIDIMA (Società Italiana Disability Manager), vogliamo proporre alcune riflessioni sul contributo che, anche in questa fase emergenziale, può apportare la figura del disability manager nel mondo del lavoro.
Il Governo, in considerazione anche delle istanze della FISH (Federazione
Italiana per il Superamento dell’Handicap) e della FAND (Federazione tra le
Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità), oltreché nel rispetto
dell’articolo 11 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità
(Situazioni di rischio ed emergenze umanitarie), con il Decreto Legge 18/20,
cosiddetto “Cura Italia”, approvato il 16 marzo scorso, ha previsto misure di
sostegno alle famiglie, ai lavoratori e alle imprese, con particolari
disposizioni a sostegno delle persone con disabilità e di chi si trova in
precarie condizioni di salute e delle loro famiglie.
Nelle aziende la gestione dell’emergenza dovuta al coronavirus passa necessariamente
per l’attuazione delle misure di tutela e sicurezza sul lavoro, in
considerazione del fatto che il datore di lavoro, nell’àmbito del modello
previsto dal Codice Civile (articolo 2087) e dal Testo Unico sulla Salute e
Sicurezza sul Lavoro (Decreto Legislativo 81/08), ha l’obbligo di valutare
costantemente quali siano i rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro e,
sulla base di questa valutazione, deve adottare tutte le misure idonee a
ridurre l’esposizione al rischio di ogni lavoratore.
In questo contesto, la funzione HR (risorse umane) svolge un ruolo di grande
responsabilità nel gestire le diverse dinamiche che interessano i lavoratori.
In particolare, nelle aziende dove è presente la funzione di Disability
Management, ovvero quella funzione che gestisce un coordinamento efficace delle
attività riguardanti il personale con disabilità o il personale che accudisce
familiari con disabilità, i cosiddetti caregiver: ove essa è presente, può
svolgere anche un ruolo fondamentale per la tutela sanitaria e per l’effettiva
inclusione dei dipendenti con disabilità o con precarie condizioni di salute
(dipendenti affetti da patologie croniche o con multi-morbilità ovvero con
stati di immunodepressione, così come individuati dal Decreto del Presidente
del Consiglio del 4 marzo scorso) e dei dipendenti caregiver.
Inoltre, la figura del disability manager – la persona di riferimento della
funzione di Disability Management, che dopo un adeguato percorso formativo,
acquisisce le competenze richieste da tale attività – possiede le necessarie
capacità per garantire, anche in questa fase di emergenza, il difficile
bilanciamento tra il diritto alla privacy e il diritto alla salute di tutti i
dipendenti.
Per fronteggiare al meglio l’emergenza coronavirus e per comunicare in modo
efficiente ai dipendenti le direttive da seguire, in alcune aziende, quali ad
esempio Generali e la RAI, è stata istituita una task force con funzioni di
coordinamento gestionale e in grado di monitorare costantemente l’evolversi
della situazione.
Si ritiene che in tali organismi sia imprescindibile la partecipazione del HR
Director (responsabile delle risorse umane) e del medico aziendale e
auspicabile quella del disability manager.
Le aziende che sono rimaste aperte in questo periodo sono chiamate a mettere in
atto non soltanto misure di prevenzione che riguardano l’àmbito strettamente
igienico sanitario (la pulizia dei luoghi, l’addestramento del personale, i
controlli periodici), ma soprattutto azioni che investono gli aspetti di
organizzazione del lavoro, quali ad esempio quella di favorire la fruizione
delle ferie e dei congedi, l’istituzione dello smart working (“lavoro agile”)
laddove possibile, l’utilizzo delle ferie solidali e degli eventuali istituti
aggiuntivi previsti dalla contrattazione collettiva aziendale e dai piani di
welfare aziendale. Il tutto nel rispetto soprattutto della normativa
straordinaria vigente e del protocollo condiviso di regolazione delle misure
per il contrasto e il contenimento della diffusione del coronavirus negli
ambienti di lavoro, sottoscritto dal Presidente del Consiglio, dai Sindacati e
dalle Associazioni di categoria.
Anche il disability manager, come responsabile di tutto il processo di
integrazione socio-lavorativa delle persone con disabilità (pianificazione;
ricerca e selezione; inserimento e mantenimento in azienda; sviluppo
professionale e organizzativo), deve collaborare con le altre funzioni
aziendali per la definizione dei cosiddetti “accomodamenti ragionevoli”, ossia
delle soluzioni operative volte a rimuovere gli ostacoli alla piena inclusione
lavorativa e favorire le iniziative che consentono alle persone con disabilità
di mantenere il posto di lavoro anche in questa specifica fase emergenziale.
A tal fine, il citato Decreto “Cura Italia”, esplicitato dalla Circolare
dell’INPS n. 45 del 25 marzo, offre al disability manager diverse previsioni
normative da considerare nell’esercizio delle proprie funzioni. Vediamole qui
di seguito.
I congedi Parentali Covid-19.
A decorrere dal 5 marzo è operativo uno specifico congedo di 15 giorni in
favore dei genitori (anche quelli affidatari) dipendenti del settore privato e
del pubblico (anche se svolgono l’attività lavorativa in smart working), nel
caso di figli di età non superiore ai 12 anni, per il quale è riconosciuta
un’indennità pari al 50% della retribuzione. Il limite di età non si applica in
riferimento ai figli con disabilità in situazione di gravità accertata ai sensi
dell’articolo 4, comma 1, della Legge 104/92, iscritti a scuole di ogni ordine
e grado od ospitati in centri diurni a carattere assistenziale.
La fruizione del congedo è riconosciuta alternativamente ad entrambi i
genitori, per un totale complessivo di 15 giorni, ed è subordinata alle
condizioni che non sia stato richiesto il bonus per i servizi di baby-sitting,
che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di
sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività
lavorativa o che non vi sia altro genitore disoccupato o non lavoratore.
I permessi da Legge 104.
È stata prolungata la durata dei permessi retribuiti previsti dall’articolo 33,
comma 3 e comma 6 della Legge 104/92, per i lavoratori con handicap grave (come
da articolo 3, comma 3, sempre della Legge 104) e per i lavoratori che assistono
familiari con handicap in condizione di gravità.
I permessi in esame, che normalmente sono costituiti da 3 giorni al mese (di
norma usufruibili solo nel mese di competenza), sono aumentati di complessivi
12 giorni, anche frazionabili in ore, fruibili a scelta nei mesi di marzo o
aprile 2020, per un totale nei due mesi di 18 giorni.
La quarantena e la malattia.
È stato previsto che il periodo trascorso dai lavoratori del settore privato in
quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con
sorveglianza attiva sia equiparato alla malattia ai fini del trattamento
economico e non sia quindi computabile ai fini del periodo di comporto.
Si prevede inoltre che fino al 30 aprile, ai lavoratori dipendenti pubblici e
privati in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di
gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della Legge 104, nonché ai
lavoratori in possesso di certificazione rilasciata dai competenti organi
medico legali attestante una condizione di rischio derivante da
immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di
relative terapie salvavita, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della medesima
Legge 104, il periodo di assenza dal servizio prescritto dalle competenti
autorità sanitarie sia equiparato al ricovero ospedaliero di cui all’articolo
19, comma 1, del Decreto Legge 9/20.
Lo smart working (“lavoro agile”)
Le disposizioni dedicate al cosiddetto “lavoro agile”, ossia alla possibilità
di lavorare in parte o totalmente fuori dalla sede aziendale negli orari
concordati, grazie al supporto di una serie di strumenti quali laptop,
cellulare aziendale ecc., sono previste dalla Legge 81/17. In questo momento di
emergenza il Governo ha deciso di incentivare il ricorso al lavoro agile,
semplificando la procedura applicativa, confinando di fatto, però, la
prestazione lavorativa presso l’abitazione del lavoratore.
La nuova procedura di ricorso allo smart working, introdotta e disciplinata dal
Decreto del Presidente del Consiglio del 25 febbraio scorso, consente di
attivare tale modalità di lavoro beneficiando di due importanti semplificazioni
procedurali: non è necessario l’accordo con il lavoratore e l’informativa sui
rischi generali per la salute e sicurezza sul lavoro si può inviare con modalità
telematica, anche avvalendosi dei moduli presenti sul sito INAIL.
Il Decreto “Cura Italia” prevede inoltre che i lavoratori dipendenti con
disabilità grave (attestata dall’articolo 3, comma 3 della Legge 104/92) o che
abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità grave (sempre
con riconoscimento ai sensi dell’articolo 3, comma 3 della Legge 104), abbiano
diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile fino al 30 aprile
prossimo, a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche
della prestazione stessa.
Ai lavoratori del settore privato affetti da gravi e comprovate patologie con
ridotta capacita` lavorativa e` riconosciuta la priorità nell’accoglimento
delle istanze di svolgimento delle prestazioni lavorative in modalità agile ai
sensi degli articoli dal 18° al 23° della citata Legge 81/17.
Infine, anche se non previsto dal Decreto “Cura Italia”, uno strumento che
l’emergenza coronavirus sta facendo riscoprire in ambito aziendale è quello
delle cosiddette “ferie solidali”.
Si tratta di un istituto nato grazie al Decreto Legislativo 151/15, per aiutare
i genitori ad assistere i figli che hanno bisogno di cure costanti. La legge
consente ai colleghi di donare giornate di ferie e ore di riposo. La cessione,
però, può avere ad oggetto soltanto i giorni di ferie previsti dal Contratto
Colletivo Nazionale di Lavoro (CCNL), in aggiunta al periodo minimo legale di 4
settimane e ai 4 giorni di riposo compensativo (cosiddette “festività
soppresse”).
Questa norma può essere estesa ad altri casi strettamente legati alla salute,
per aiutare ad esempio un collega che soffre di una grave malattia, che ha un
tumore o è immunodepresso. La misura, le condizioni e le modalità di esercizio
di questo nuovo diritto sono stabiliti dai Contratti Collettivi di settore.
A supporto dell’attività del disability manager rimangono sempre validi e degni
di considerazione tutti gli altri istituti che impattano sull’organizzazione
del lavoro e che sono definiti dalla normativa nazionale, regionale, dalla
contrattazione e dai piani di welfare di carattere aziendale che hanno come
destinatari i dipendenti con disabilità.
A questo punto va detto che la funzione del disability manager non si esaurisce
nella ricerca e nella realizzazione degli accomodamenti ragionevoli dettati
dall’emergenza coronavirus. È necessario infatti monitorare i cambiamenti del
contesto lavorativo e delle esigenze individuali, al fine di prevenire e
rimuovere eventuali problematiche.
L’istituto dello smart working – che rappresenta per antonomasia una forma di
“accomodamento ragionevole” – consente in linea di principio di sfruttare al
massimo la capacità produttiva individuale, specie delle persone con
disabilità. In particolare, esso assume in questo momento emergenziale
connotazioni così speciali soprattutto per le persone più fragili, attraverso
la valorizzazione del lavoro ad obiettivi, la riduzione della rilevanza di
elementi tradizionali, quali l’orario di lavoro e la sede, nonché l’ausilio di
strumenti informatici.
E tuttavia, manca spesso una struttura di supporto adeguata a gestire tale
forma di lavoro su larga scala o in maniera appropriata alle esigenze del
lavoratore con disabilità. Ad esempio, nella situazione emergenziale dovuta al
coronavirus, le tante aziende che non avevano ancora adottato lo smart working
o non lo avevano adottato in grande scala e che sono state invitate dal Governo
– se non addirittura obbligate, come nel caso della Pubblica Amministrazione –
ad applicare una sorta di home working (“lavoro a casa”) – con tutte le
difficoltà insite nel lavorare da casa in un momento in cui sono chiuse le
scuole e i centri diurni per persone con disabilità e nel quale non sono
possibili gli spostamenti – hanno dovuto adeguarsi rapidamente a una modalità
che avrebbe dovuto essere gestita come un progetto di trasformazione
organizzativa, prevededno diverse fasi operative, una formazione specifica e
una costante attività di monitoraggio al fine di garantire i migliori
risultati. Inoltre, le aziende hanno dovuto confrontarsi in tempistiche molto
strette con la necessità di adottare una tecnologia abilitante e accessibile
per i lavoratori con disabilità, declinata quindi in base alle reali esigenze
operative di questi collaboratori, condizione necessaria per il corretto
funzionamento del sistema di smart working.
Pertanto, in considerazione dei suddetti elementi di criticità, il contributo
di facilitatore del disability manager diventa fondamentale per garantire
l’effettiva operatività e inclusione dei dipendenti con disabilità.
Ma la principale funzione del disability manager è sicuramente quella di essere
il referente dei lavoratori con disabilità, sia in fase di assunzione che nello
svolgimento delle mansioni o in ogni altra situazione di possibile disagio.
Infatti, se per garantire uno degli elementi chiave dell’integrazione
lavorativa dei collaboratori, ossia il loro inserimento nel processo aziendale,
è necessario adottare una politica di gestione delle risorse umane adeguata
alle esigenze dettate dall’attuale situazione emergenziale, occorre prestare
una particolare attenzione nei confronti dei dipendenti che – se confinati in
modo prolungato presso la propria abitazione, senza la necessaria interazione
con l’azienda – rischiano il peggioramento delle condizioni di salute,
l’impoverimento delle relazioni umane e l’abbassamento del conseguente livello
di apprendimento e produttività lavorativa. Questo risulta particolarmente
amplificato nel caso di lavoratori con disabilità e deve quindi esservi posta
particolare attenzione.
A tal fine, il disability manager potrebbe proporre ad esempio l’attivazione di
percorsi di formazione a distanza sul tema dell’empowerment (processo atto a
consentire al lavoratore di sfruttare appieno il proprio potenziale personale e
professionale al fine di raggiungere con piena soddisfazione obiettivi
rilevanti per se stessi e per l’organizzazione cui si appartiene), a beneficio
non soltanto delle persone con disabilità, ma dell’intera struttura aziendale.
In ogni caso, quanto si sta facendo oggi nel panorama aziendale in tema di
smart working e di formazione a distanza rappresenta un segnale di come
l’organizzazione del lavoro stia cambiando e dimostra come anche da situazioni
di emergenza sia possibile trarre importanti opportunità.
Difatti, lo smart working non andrebbe considerato solo nell’ottica attuale
dell’emergenza COVID-19, bensì nella sua connotazione naturale: come detto,
esso non è solo un’opportunità per il lavoratore, ma lo è anche per il
management e per l’organizzazione, consentendo di ottimizzare il costo del
lavoro e di incentivare le politiche retributive orientate maggiormente al
merito e al raggiungimento effettivo degli obiettivi; inoltre, al personale con
disabilità permette di aggiungere i vantaggi di riduzione dei costi
dell’assenteismo, specie quello relativo alle diverse patologie, il tutto a
beneficio dell’efficienza produttiva. Un terzo del costo sociale di malattia è
infatti legato alla perdita di produttività.
Purtroppo, il Legislatore, nell’apportare le modifiche alle norme sullo smart
working, con la citata Legge 81/17, disponendo l’obbligo per i datori di lavoro
di riservare una priorità di accesso alle madri nel triennio successivo al
termine del congedo di maternità e ai lavoratori che abbiano figli in condizioni
di disabilità, non ha considerato anche la priorità per i lavoratori con
disabilità a cui oggi invece, in fase di emergenza COVID-19, il Decreto “Cura
Italia” fa riferimento.
Pertanto, sarebbe auspicabile che, passata la fase emergenziale, il Legislatore
prendesse spunto da quanto normato con il Decreto “Cura Italia”, per indicare
una priorità all’utilizzo dello smart working anche per le persone con
disabilità. La SIDIMA si renderà proattiva in tal senso.
Nelle more, l’impegno del disability manager dovrà essere quello di affrontare
il tema nella definizione degli accomodamenti ragionevoli per i dipendenti con
disabilità, specialmente in sede di contrattazione aziendale.
In tal modo è ribadito il ruolo fondamentale del disability manager nel gestire
la reale inclusione dei dipendenti con disabilità anche in fase di emergenza
COVID-19 e soprattutto nell’assecondare un processo di trasformazione
dell’organizzazione del lavoro che non deve lasciare indietro nessuno.
* Palma Marino Aimone,
HR Specialist (risorse umane), disability e diversity manager; componente della
SIDIMA (Società Italiana Disability Manager) (mmarinoaimone@gmail.com).
Diversity Management.
Si tratta di un insieme di pratiche e politiche volte a valorizzare la
diversità all’interno di un ambiente di lavoro – che sia diversità di genere,
di orientamento sessuale, di origini etniche, di cultura, di abilità fisiche
ecc. – supportando differenti stili di vita e rispondendo alle loro diverse
esigenze. Nello specifico della disabilità, si parla di Disability Management;
quando invece si prescinde dall’età anagrafica si parla di Age Management.
Disability manager.
Tale figura si può definire così: è un professionista adeguatamente remunerato,
con un ruolo di supervisione in ogni àmbito (accessibilità, mobilità, politiche
sociali, scuola, lavoro ecc.), che vigili sul rispetto della Convenzione ONU
sui Diritti delle Persone con Disabilità e faccia sì che tutti gli attori
istituzionali, quando pianificano, si chiedano: «Questa decisione che effetto
avrà sulle persone con disabilità?».
Disability Management.
In àmbito lavorativo rappresenta una strategia d’impresa utile a coniugare, in
modo soddisfacente, le esigenze delle persone con disabilità da inserire – o
già inserite – con le necessità delle aziende.
Di Palma Marino Aimone da Superando.it del 04.04.2020
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