L’ovovia lui non l’aveva mai voluta, tanto che ora (a dieci giorni dalla rimozione) rilancia il «servoscala», che compariva già nei disegni di quasi vent’anni fa che aveva proposto all’amministrazione.
Lo studio dell’archistar: è tutto predisposto se il Comune vorrà valutare il servoscala.
«Ora, come allora, è una decisione esclusiva del Comune di
Venezia come rendere la città più accessibile. In ogni caso, abbiamo espresso
al sindaco il nostro supporto alla decisione di rimuovere l’ovovia e siamo a
disposizione per ogni ulteriore intervento».
Santiago Calatrava, per bocca del suo studio, parla pochi giorni dopo la
rimozione dell’«ovetto rosso» installato nel 2013 sul suo ponte sul Canal
Grande, costato due milioni di euro e praticamente mai entrato in funzione.
Dieci giorni fa, un po’ in sordina, il dispositivo è stato tolto. «Un monumento
allo spreco», lo ha definito il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, tanto che
ora, su richiesta di Ca’ Farsetti, il tribunale civile ha avviato una perizia
per capire se ci siano state delle responsabilità del progettista, come avrebbe
riscontrato la procura della Corte dei Conti. Calatrava quell’ovetto l’aveva
sempre avversato, tanto che ora rilancia il «servoscala», che compariva già nei
disegni di quasi vent’anni fa. «In entrambi i lati del ponte e in entrambi gli
estremi, come parte del progetto del ponte, era stato riservato dello spazio in
cui avrebbe potuto alloggiare un servoscala in posizione ripiegata – continua
lo studio Calatrava – proprio nell’eventualità che in futuro ci sia un cambio
dei parametri e si decida di andare avanti con l’esecuzione di quest’ipotesi».
L’archistar catalana non ne poteva più di vedere l’ovovia associata al suo
nome. Così come a farsi dare dell’«insensibile» per non aver previsto nulla per
chi aveva dei problemi motori. Per questo ci tiene a fare un balzo indietro di
oltre vent’anni, quando lui donò a Venezia l’ipotesi di un quarto ponte.
All’epoca l’assessore all’Urbanistica era l’architetto Roberto D’Agostino e il
compianto Enzo Cucciniello era il consulente per l’eliminazione delle barriere
architettoniche. «Il nostro ufficio originariamente propose l’installazione di
un servoscala – ricorda ancora lo staff di Calatrava – Ma secondo la strategia
sviluppata dal Comune, l’uso di ogni tipo di ascensore o piattaforma fu
scoraggiato, a causa dell’esperienza sugli altri ponti della città, in cui
questi elementi erano spesso oggetto di vandalismi». Per questo già allora,
come oggi, la soluzione proposta fu ciò che lo stesso architetto spagnolo
chiama «ascensore orizzontale», cioè il vaporetto, che per le persone
diversamente abili è gratuito nella tratta tra piazzale Roma e la stazione
ferroviaria, quella collegata dal ponte rosso. «Il Comune ci spiegò che
l’imbarcadero di piazzale Roma aveva un’elevata frequenza di vaporetti, poiché
era un capolinea e che la fermata successiva era quella della ferrovia –
continua lo studio Calatrava – Per questo, come parte dei lavori di costruzione
del ponte, fu realizzata una rampa per i diversamente abili da piazzale Roma
all’imbarcadero».
La rimozione dell’ovovia inoltre riporta il ponte alle sue linee originarie,
«sporcate» da quell’innesto. «Ora che le “torri” dell’ovovia sono
state rimosse – prosegue – può essere meglio percepita l’immagine di un ponte
slanciato con un’arcata di circa settanta metri, quasi come se fluttuasse sopra
il canale. Si può inoltre godere meglio la vista dall’estremità del canale
verso la straordinaria e bellissima città storica di Venezia». E anche capire
perché quel colore rosso del ponte, non certo casuale. «Gli studi cromatici
realizzati originariamente per adattarsi alle costruzioni circostanti possono
essere ora meglio apprezzati – conclude lo studio Calatrava – Il colore del
ponte fu studiato per integrarsi con i mattoni rossi della stazione e degli
edifici attorno».
di Alberto Zorzi da Corriere della Sera del 04.06.2020
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