Bene la teoria e le buone intenzioni, male l’approccio concreto nella prassi quotidiana. Sono tanti gli assistenti ad personam occupati nella scuola che bocciano senza appello gli strumenti e specialmente le modalità con cui è stata impostata la didattica online durante i mesi di lockdown. A fare le spese di un sistema che non ha saputo – a loro avviso – guardare oltre il paradigma emergenziale e si è rivelato inadeguato a soddisfare le diverse esigenze formative sono stati soprattutto gli alunni con disabilità certificata: doppiamente in difficoltà nel dover seguire il programma di studio a distanza e nel non poter contare sulla vicinanza di alcune fondamentali figure di riferimento: insegnanti, assistenti ed educatori.
La 35enne Valentina Renna è tra i lavoratori che hanno vissuto con maggiore disagio la lunga quarantena professionale. Assistente ad personam di due bambini di terza elementare in una scuola della città, come molti colleghi assunti dalle cooperative – con contratto ciclico e per conto delle amministrazioni comunali – si è vista ridurre bruscamente le ore di servizio e ha sperimentato tutti i limiti di una relazione «faccia a faccia» filtrata dalla rete. Dalle 16/18 ore settimanali ad alunno è passata alle 5 della fine di marzo, «salendo» a 15 in aprile e 20 in maggio (10 quelle previste per la prima settimana di giugno). Questo perché, con il passare del tempo, le famiglie si sono accorte della carenza di assistenza e hanno chiesto a gran voce l’incremento del servizio. Così è stato, ma «i risultati non sono sempre stati soddisfacenti: non ci è stato fornito alcun ausilio, abbiamo dovuto sfruttare le connessioni personali e cercare di organizzarci in autonomia con le insegnanti e con le famiglie degli alunni».
LA SUA RIFLESSIONE va al di là della questione prettamente economica e della polemica sulle possibilità di accesso: «Per alcuni bambini e per le loro famiglie si è trattato di un fallimento: tante mamme hanno visto i propri figli smarrirsi con estrema facilità e faticare per resistere davanti al computer così tante ore». L’assistente mette l’accento sui problemi di concentrazione causati dalla mancanza di contatto umano e di vicinanza emotiva, laddove la vicinanza fisica e le opportunità di interazione in presenza sono fattori fondamentale per ottenere la fiducia dell’alunno disabile: «Non ho potuto garantire al 100% la continuità del programma scolastico, inoltre ho notato la fatica fatta dai genitori per riuscire a conciliare lavoro e famiglia». Talvolta la lezione si è limitata a una chiacchierata o a un ripasso veloce: «Tanto per interagire e non farli sentire abbandonati, dato che il lockdown si è caratterizzato per una prolungata mancanza di stimoli esterni», ricorda ancora Valentina Renna, il cui pensiero va anche ai tanti colleghi meno fortunati di lei, rimasti per ben tre mesi senza occupazione e senza alcuna forma di reddito: «Specialmente quanti avevano a che fare con disabilità tali da rendere difficile un lavoro a distanza attraverso il pc: ci sono state situazioni in cui non è stato possibile sfruttare alcuna tipologia di supporto digitale».
Da BresciaOggi 31 luglio 2020
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