Parlare di disabilità e lavoro in epoca di pandemia non è semplice e in un momento in cui il lavoro è sotto pesante attacco a causa del virus, in cui alcune persone sostengono che “è meglio morire di Covid che di fame” e in cui il premier Giuseppe Conte tenta di porre degli argini in mezzo a un mare molto mosso, i lavoratori con disabilità vanno gestiti in ambito aziendale come tutti gli altri: la ‘diversità’ è un valore aggiunto, anche per i normodotati.
In questi mesi si è dibattuto molto su ‘fragilità e lavoro’; i Dpcm dovrebbero dare maggiori indicazioni ed è necessario un sostanziale intervento della medicina nello stabilire dei confini all’interno dei quali muoversi per garantire più sicurezza ai lavoratori e una loro maggiore presenza al lavoro, ove e come possibile, fornendo linee guida generali a coloro che nelle specifiche realtà devono prendere delle decisioni operative a tutela dei lavoratori e delle imprese di afferenza, anche secondo il buon senso.
Si pensi, pure nella logica del ‘dopo di noi’, a come affrontano la problematica sia la società in toto, sia le associazioni di soggetti con disabilità sia le loro famiglie e quali possono essere i costi sia in termini di mancata assistenza e limitazioni alla crescita di queste persone sia quelli prettamente economici per la loro gestione (soltanto ad esempio un familiare già in difficoltà economiche che deve lasciare il lavoro per assistere il congiunto, senza alcun sostegno di un servizio pubblico …).
Da Il Fatto Quotidiano 5/1/2021
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