È l’unica Madonna in terracotta nota del Verrocchio: la Madonna di Santa Maria Nuova, conservata al Museo del Bargello, è una delle opere più interessanti della sua produzione.
Al Verrocchio occorsero diversi anni per arrivare al grado di perfezione tecnica della Madonna di Santa Maria Nuova, un eccezionale rilievo in terracotta che oggi il pubblico può ammirare al Museo Nazionale del Bargello. E al mondo occorsero invece quattro secoli per saperlo: fino al 1871 l’opera non era nota. Fu scoperta quell’anno da un pittore, Alessandro Mazzanti, che ricevette dai vertici dell’Arcispedale di Santa Maria Nuova a Firenze l’incarico d’eseguire una dettagliata ricognizione di tutto il patrimonio artistico presente nell’antichissimo complesso ospedaliero, fondato nel 1285 e ancor oggi attivo. Scopo della missione era quello di fornire agli oggetti le migliori condizioni di conservazione possibili, anche a costo di rimuoverli per trasferirli nei luoghi più adatti e sicuri. E i risultati, attestava già quello stesso anno lo studioso Ottavio Andreucci, “andarono oltre la aspettativa”, e restituirono, tra gli altri oggetti d’arte fino ad allora ignoti, una Madonna col Bambino che fu subito riconosciuta come opera del Verrocchio.
Un’attribuzione che, fin dalla data della scoperta, seppur mai suffragata dai documenti non è neppure mai stata messa in discussione, e oggi la Madonna di Santa Maria Nuova s’annovera tra gli esiti più originali e sorprendenti della poetica verrocchiesca. L’occhio indugia a lungo davanti alla piramide costruita dalle fitte pieghe dei panneggi sulla sinistra per poi spostarsi sull’insieme, anch’esso costruito sulla stessa forma: un misto di energia, linearismo, movimento e delicatezza. Il Bambino è in piedi su di un cuscino di raso, mentre benedice il fedele che lo guarda. La madre lo tiene da dietro, premurosa, con le mani che appena lo sfiorano per lasciarlo autonomo ma per intervenire con prontezza se la stabilità del guanciale dovesse venir meno. Energia che viene sprigionata da quelle linee così movimentate che s’ammirano soprattutto nel panneggio. Delicatezza che trasuda dai volti della Madonna e del Bambino, pervasi da una vena di sentimentalismo, ma che comunque non intacca l’aura sacrale di quella ch’era anzitutto un’immagine da venerare, destinata alla devozione, anche se non sappiamo di chi. Le due figure riescono a essere dolcemente espressive, a trasmettere una sincera umanità, e al contempo a rimanere due icone della divinità.
Riuscire a stabilire se questo rilievo sia un’opera indipendente o se, viceversa, rappresenti un bozzetto, vicinissimo alla redazione finale, per una successiva scultura in marmo, aiuterebbe a chiarire le idee: il problema è che non è neppure semplice capire se la Madonna di Santa Maria Nuova sia un’opera a sé stante o uno studio. L’ornamento della federa del guanciale appare incompleto, segno interpretato da alcuni come indice del fatto che l’opera sia un abbozzo. D’altro canto, un grado simile di finitezza e una così elevata qualità son difficili da riscontrare in un bozzetto, e le opere in terracotta, nel tardo Quattrocento, avevano già assunto piena dignità artistica. Possibile che un maestro come il Verrocchio avesse infuso tanto impegno per un’opera che non doveva esser vista dal committente? In sostanza: per un oggetto ancora in elaborazione, per quanto vicino all’esito definitivo? Difficile pensarlo: ad ogni modo la questione al momento è sospesa. E parimenti non conosciamo la destinazione iniziale dell’opera: non è detto che non fosse stata realizzata per la chiesa dell’ospedale di Santa Maria Nuova.
Certo è nessuno dubitò della qualità del rilievo, tant’è che appena dopo la scoperta la stima che le fu attribuita era alta, seimila lire: quasi trentamila euro attuali. Ma appena s’era sparsa la notizia cominciarono a fioccare offerte di cifre anche quattro volte più alte. Alla fine però l’opera entrò nelle raccolte pubbliche: ventisette opere ritrovate nell’Arcispedale, a fine Ottocento, furono acquistate dallo Stato italiano e il 18 ottobre del 1902 la Madonna di Santa Maria Nuova entrò finalmente al Bargello. Oggi comunque non la vediamo esattamente come fu riscoperta: all’epoca in cui venne ritrovata da Mazzanti era inserita in una struttura goticheggiante che terminava, in alto, con una cuspide a sesto acuto, e decorata con l’immagine della colomba dello Spirito Santo. Un’aggiunta spuria, di difficile datazione, che fu poi sostituita nel 1916 col tabernacolo neorinascimentale che vediamo invece oggi. Dietro alla Madonna, peraltro, sono rimaste ancora le tracce della doratura con la quale l’antico stuccatore aveva realizzato la colomba sopra di lei. E dobbiamo anche immaginarci la Vergine a colori: così era in origine. Lo attestano le tracce di policromia che son state rinvenute sulla superficie.
Il fatto che si tratti d’un’opera del Verrocchio è suggerito, oltre che dall’altissima qualità dell’esecuzione (Francesco Caglioti ha definito “spettacolare” questa Madonna), anche dall’inserimento della Madonna di Santa Maria Nuova in un contesto ch’è ben definito e delineato. Il tipo di questa Madonna col Bambino era tra i più popolari e diffusi nella Firenze degli anni Sessanta e Quattrocento, in pittura come in scultura. Un’immagine di moda, si potrebbe banalizzare. C’è un precedente, ovvero la Madonna Oberlin, opera in stucco oggi all’Allen Memorial Art Museum dell’Oberlin College, in Ohio, e variamente assegnata al maestro e alla sua cerchia. E ci sono soprattutto molte riprese: sempre al Bargello s’osserva una Madonna col Bambino in marmo, di Francesco di Simone Ferrucci, dove il piccolo Gesù poggia sullo stesso cuscino del Verrocchio, che a quanto ci è noto è stato il primo artista a introdurre questo elemento. C’è la stessa immagine, rovesciata, dipinta da Piermatteo d’Amelia e oggi allo Städel Museum di Francoforte. E ancora la Madonna col Bambino del Perugino al Musée Jacquemart-André di Parigi. Quella, in marmo, di Benedetto da Maiano alla National Gallery di Washington. C’è la Madonna di Solarolo, di recente attribuita al Verrocchio da Caglioti. Ci sono poi i riscontri coi disegni della bottega: il panneggio, in particolare, è stato messo in relazione ai fogli che lì si producevano, come studî compositivi.
C’è poi da aggiungere che, nel recente libro sul Verrocchio curato da Andrew Butterfield e pubblicato nel 2021, Alison Luchs e Dylan Smith hanno rilevato un ulteriore elemento che lascerebbe supporre un’esecuzione avvenuta nel contesto della bottega del grande artista fiorentino: il “senso di assemblaggio” che il rilievo lascia trasparire, suggerito dalla “maniera della costruzione, con le mani della Madonna, la mano benedicente del Bambino, le sue gambe e i suoi piedi tutti modellati in modo indipendenti e poi riuniti”. Il braccio sinistro, con la giuntura all’altezza della spalla, e la sua mano, “si levano sullo sfondo, e il gomito si spinge oltre la cornice. Entrambe le teste furono modellate separatamente, attaccate, e poi inclinate in avanti con l’applicazione di un inserto di argilla posto dietro di esse, presumibilmente per rendere i volti più visibili dal basso”. Inclinazione che risulta puntualmente se si guarda il rilievo di lato. La Madonna appare più compressa verso il fondo rispetto al Bambino, che invece si stacca di più: effetti di questo tipo erano già stati provati dal Verrocchio (si pensi all’Incredulità di san Tommaso di Orsanmichele), e servivano per dare più movimento alle composizioni, per renderle più cariche di pathos, per avvicinarle al fedele.
Questo assemblaggio, queste integrazioni, hanno scritto gli studiosi americani, sono imperfette. Per il semplice fatto che, se ci si fa attenzione, si possono notare anche a occhio nudo i punti di raccordo. Ma anche loro hanno riconosciuto che comunque ci troviamo dinnanzi a un’opera “di superba qualità, con le idee del maestro sotto controllo e le sue mani molto presenti”. A quanto ne sappiamo è l’unico esempio di Madonna in terracotta eseguito dal Verrocchio. Eppure, è tra le opere più straordinarie del suo catalogo.
di Federico Giannini da Finestra sull’arte
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