Le barriere architettoniche a Pisa: rampe troppo ripide i disabili non ce la fanno

Le barriere architettoniche a Pisa: rampe troppo ripide i disabili non ce la fanno

L’obiettivo è avere la possibilità di muoversi in piena autonomia. Ma se lo si mette accanto alla realtà dei fatti, balza subito all’occhio quanta strada resta ancora da fare. Il tema è quello delle barriere architettoniche, che soprattutto in alcuni quartieri periferici di Pisa di fatto impediscono la piena libertà di movimento non solo alle persone con disabilità, ma anche ai più fragili, malati o anziani.

Il Tirreno, giovedì 24 giugno, è andato a verificare la situazione tra i palazzi popolari di via Norvegia insieme a Mario Vanti, in carrozzina e residente nel quartiere. Tanti gli ostacoli da affrontare: buche e manto stradale dissestato, per cominciare. Ma anche marciapiedi stretti e a tratti impraticabili, oltre che privi di una doppia rampa per accedere e scendere dal dislivello. E anche quando la rampa c’è, non è detto che garantisca la possibilità di accedervi in autonomia.

Intanto, i problemi cominciano con il parco di quartiere dell’ex asilo Timpanaro, recentemente inaugurato dall’amministrazione comunale. Come spiegano Federica Duchini e Fabrizia Casalini dell’Associazione inquilini e abitanti dell’Unione sindacale di base (Asia-Usb), presenti alla ricognizione, «manca ancora un percorso interno all’area verde per chi ha ridotte capacità motorie, anche se la sua realizzazione era già in programma. Il che rende difficile la sua fruizione da parte di tutti». Lo conferma l’esperienza del signor Vanti: tra radici e dislivelli, senza accompagnatore è meglio non addentrarsi nel parco. Stessa inaccessibilità per i marciapiedi. È un esempio quello di fronte all’area verde, verso via Cisanello. «Non ci saliamo nemmeno – spiega il signor Vanti –, sono costretto a muovermi sempre sulla strada. Anche se sfruttassi la rampa in prossimità di un cancello carrabile, una volta arrivato alla curva non ci passo con la carrozzina, non posso girarmi. In più ci sono i restringimenti in prossimità dei pali».

Senza contare alcuni tratti dissestati, che rendono difficoltoso il passaggio. Ma i problemi non finiscono qui. Spesso una rampa manca proprio del tutto. Il risultato è che, senza un accesso al livello della strada, il marciapiede diventa irraggiungibile per le carrozzine. E se il marciapiede in questione si trova proprio di fronte all’area in cui sono posizionati i cassonetti della spazzatura, la barriera diventa doppia. «In autonomia non potrei buttare nulla», è la conferma.

Non va meglio spostandosi sulla strada, dove bisogna stare attenti alle buche e alla superficie dissestata. E le criticità arrivano fino alla soglia di casa. Qui, di fronte al portone di ingresso del palazzo, la rampa per superare il dislivello tra la strada e l’accesso al palazzo è stata messa. Peccato che, spiega il signor Vanti, «con la carrozzina normale (non elettrica) non riesco a salire in autonomia perché è troppo ripida». Tanto più che «per ottenere questa rampa, che poi non va bene, c’è voluto un anno e mezzo di battaglie», denuncia Federica Duchini. «Qui parlare di abbattimento delle barriere è quasi ridicolo perché non c’è nemmeno il minimo. Questo aspetto non viene neanche preso in considerazione: all’inizio nessuno aveva pensato allo scivolo di ingresso nel parco ex Timpanaro».

Una questione, quella delle barriere architettoniche, che colpisce «chiunque abbia difficoltà a camminare, anche chi ha una disabilità minore o gli anziani», sottolinea Fabrizia Casalini «Tutte quelle persone che potrebbero avere una loro autonomia, la perdono per questa situazione».

È quasi un paradosso non poter vivere in autonomia nemmeno il quartiere in cui si risiede. A mancare, più in generale, è una visione di intervento unitaria per l’intera città. Come spiega il sindacato, per abbattere le barriere architettoniche in periferia si agisce su chiamata per il singolo ostacolo. Nel centro storico c’è invece il Peba (Piano abbattimento barriere architettoniche), «strumento piuttosto rigido, visto che per modificarlo, espandendolo anche ad altre zone, l’iter è lo stesso di una variante urbanistica», conclude il sindacato.

di Sara Venchiarutti  da Il Tirreno del 29/6/21

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