Nel 1877 questo oggetto inizialmente misterioso venne rinvenuto da un contadino mentre arava un campo nei pressi di Gossolengo.
Pur non compresa fin da subito la sua importanza, è oggi riconosciuto quale documento fondamentale per la conoscenza della religione, della lingua e della civiltà etrusca nel suo complesso e nel 1894 venne donato al Museo Civico presso Palazzo Farnese, dove è tuttora conservato.
È concordemente datato alla fine del II – inizi del I secolo a.C., mentre più incerto è il suo utilizzo, legato comunque alla divinazione ad opera degli aruspici, mediante l’esame dell’organo della vittima sacrificata.
L’aruspice etrusco aveva il compito di interpretare il volere divino osservando segni particolari nel fegato dell’animale immolato; il modello in bronzo del fegato fungeva quindi, spiegano numerosi etruscologi, da guida pratica.
La straordinaria importanza del pezzo, le cui dimensioni sono millimetri 126 X 76 X 60 con un peso di 635 grammi, sta nella serie di iscrizioni di nomi di divinità, che sulla faccia piana dell’oggetto sono organizzate in modo da riflettere l’ordinamento del cielo secondo gli Etruschi. Esso infatti porta incise 40 iscrizioni in lingua etrusca divise in 16 settori; inoltre, due iscrizioni si trovano sulla parte parietale al di sotto.
Nei sedici settori sono inscritti i nomi di trenta divinità mitologiche etrusche, ciascun settore corrisponde ad una specifica divisione del cielo, orientato secondo gli assi cardinali e raggruppato in quattro sezioni, riferite ai diversi livelli del cosmo: cielo, acqua, terra, inferi.
Seguendo l’orientazione a sud peculiare della religione etrusca, la parte sinistra del cielo (corrisponde a quella destra dell’oggetto) era occupata da divinità favorevoli, quella destra invece era considerata ostile. Sull’altra faccia, convessa, è resa a rilievo la nervatura: ai suoi lati compaiono, con chiaro riferimento astronomico, i nomi del sole (Usil) e della luna (Tivr).
Alcuni hanno ipotizzato che l’oggetto in bronzo non sarebbe affatto un fegato ma un’antichissima mappa geografica dell’Italia dando il significato delle forme e delle iscrizioni, orientando il fegato da nord e sud, dal Monte Rosa fino alla Sicilia.
Un’ultima ipotesi formulata è che il fegato di Piacenza possa essere un apparecchio radionico etrusco, non dissimile da quello Callegari per facilitare l’analisi delle energie sottili…; a favore della tesi c’è il bastone divinatorio dei sacerdoti etruschi chiamato lituo, piuttosto simile ai moderni biotensor sia nella forma che nell’uso rappresentato, che supporta la tesi di una certa praticità degli aruspici nelle tecniche tipiche della radionica.
È da sottolineare che sono stati pubblicati svariati saggi sul Fegato Etrusco di Piacenza, testimonianza dell’importanza del soggetto e delle difficoltà nell’accordare le varie, e spesso divergenti, opinioni degli esperti sull’uso specifico del medesimo.
Il Museo Civico dove è custodito è accessibile ma l’illuminazione non permette una buona visualizzazione date le ridotte dimensioni di questo patrimonio.
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