La legge agevola l’installazione di innovazioni volte all’abbattimento delle barriere architettoniche, ma a condizione che non vengano lesi i diritti di altri condomini. Nuova sentenza della Cassazione
Torniamo a parlare di impianti che concorrono all’abbattimento delle barriere architettoniche. Nel caso di condomini, l’installazione di strumenti quali un ascensore per disabili o un montascale che possano agevolare uno o più condomini nella salita e discesa, spesso provoca dei contenziosi che vedono i soggetti ricorrere al tribunale.
Se da un lato la legge agevola l’installazione di strutture o la
realizzazione di lavori per l’abbattimento delle barriere architettoniche,
dall’altro essa deve tutelare al contempo i diritti di tutti i condomini,
affinchè questo genere di interventi non ledano la loro possibilità di godere
degli spazi comuni o degli spazi di proprietà.
IL CASO – Una recente pronuncia della Corte di Cassazione ha stabilito
che l’installazione dell’ascensore per un condomino disabile è illegittima
se va a precludere il godimento del bene comune, come un pianerottolo, anche da
parte di un solo condomino.
Con l’ordinanza 21339/2017 la Corte ha infatti rigettato il ricorso di un
intero condominio contro la sentenza della Corte d’appello di Torino che aveva
dato ragione ad una condomina alla quale sarebbe stato impedito l’uso del
pianerottolo a causa dell’installazione di impianto per portatori di handicap.
Nel caso in oggetto, l’impianto di ascensore in area comune era stato
deliberato dall’assemblea condominiale, ma una condomina del piano terra aveva
denunciato che il pianerottolo, occupato dall’impianto, le avrebbe precluso
la possibilità dell’originario godimento della cosa comune. La
Cassazione, stabilendo che questo originario godimento sarebbe stato sostituito
un godimento di diverso contenuto, necessariamente condizionato alla
disponibilità ed al funzionamento dell’ascensore stesso, ha dato ragione
alla donna.
A questo punto può essere utile rivedere le prescrizioni di legge per quanto
riguarda gli interventi di questo tipo, volti al superamento delle barriere
architettoniche, su parti comuni.
LA MAGGIORANZA CONDOMINIALE – La legge prevede che per poter installare
un ascensore su area comune condominiale, allo scopo di eliminare le barriere
architettoniche, è necessario che questa innovazione venga approvata
dall’assemblea con la maggioranza prescritta dall’art. 1136,
commi 2 e 3 del Codice Civile. In caso di deliberazione contraria o omessa
entro il termine di tre mesi dalla richiesta scritta, l’innovazione può essere
installata, a proprie spese, dal portatore di handicap, con
l’osservanza dei limiti previsti dagli artt. 1120 e 1121 c.c.,
secondo quanto prescritto dal comma
3 dell’art. 2 della legge n. 13 del 1989 (Cass. Sez. 6 – 2,
09/03/2017, n. 6129).
I LIMITI ALL’INSTALLAZIONE – Abbiamo pertanto visto come sia agevola
l’installazione o gli interventi (innovazioni) dirette al miglioramento della
fruizione delle cose comuni. Tuttavia resta fermo anche il disposto dell’art.
1120, comma 2, c.c., appunto, per cui non si possono applicare innovazioni
che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso e al
godimento anche di un solo condomino, comportandone una
sensibile menomazione dell’utilità, secondo l’originaria costituzione
della comunione.
Il punto centrale qui sta nella definizione di inservibilità della parte
comune: la Cassazione spiega che non può consistere nel semplice
disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione –
coessenziale al concetto di innovazione – ma è costituito dalla concreta
inutilizzabilità della “res communis” secondo la sua
naturale fruibilità (cfr. Cass. Sez. 2, 12/07/2011, n. 15308).
Nel caso in oggetto, quindi, è vero che l’ascensore costituiva una innovazione
(la cui installazione è agevolata dalla legge), ma la legge prevede anche che
rimangano precluse, per legge, quelle installazioni che rendono inservibile il
bene comune all’uso e al godimento anche di un solo condomino.
Ricordiamo che analoga interpretazione si applica nel caso di proprietà
(vedi la sentenza della corte di Cassazione n. 24235/2016
Da Francesca Martin 26 Settembre 2017
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