Secoonda puntata della storia del fascismo; perchè secondo Incuriosire.it per comprendere l’attualità è necessario conoscere anche il nostro recene passato.
La portata della crisi portò a un cambiamento anche nei partiti tradizionali. La partecipazione politica più ampia, le rivendicazioni sociali e civili resero inadeguati i partiti liberali tradizionali che non avevano organizzazione nazionale. Le classi popolari si vedevano maggiormente rappresentate dal Partito Socialista che crebbe tumultuosamente e dal Partito Popolare.
Anche i socialisti avevano il problema di darsi una struttura nazionale essendo composto da leghe, circoli, cooperative amministrazioni comunali senza riuscire a dare un indirizzo politico unitario al paese. In più era diviso all’interno in riformisti che facevano riferimento a Turati e in massimalisti guidati da Serrati. I riformisti erano favorevoli ad ampie riforme politiche e sociali da realizzare gradualmente anche con l’appoggio dei borghesi non avendo nessuna fiducia in sbocchi rivoluzionari di stampo sovietico, mentre i massimalisti intendevano realizzare il programma massimo della rivoluzione socialista senza però riuscire, nei fatti a rinnovare il partito per raggiungere l’obbiettivo. Alla estrema sinistra dei massimalisti si sviluppò una duplice fazione facente capo una a Bordiga che puntava alla rivoluzione senza passare da competizioni elettorali; un’altra invece facente capo a Gramsci che suggestionato da Lenin, attraverso la rivista Ordine Nuovo, le esperienze dei consigli nelle fabbriche puntava a una forma di autogoverno operaio.
Tuttavia il partito Socialista nel suo insieme, vedendo la borghesia come un unico blocco reazionario rimase sostanzialmente isolato senza appoggi da parte degli intellettuali e del ceto medio.
Dall’altra parte dello schieramento politico vedeva la luce il Partito Popolare di Don Sturzo nel gennaio 1919 che otteneva il risultato storico di reinserire i cattolici nel gioco politico italiano dopo la loro esclusione a seguito della formazione dello stato unitario. Il partito Popolare era antisocialista, cattolico ma non confessionale, vedeva il centro di interesse nella famiglia e nella proprietà privata. Grazie all’appoggio del clero si sviluppò rapidamente. Don Sturzo e Alcide De Gasperi furono i principali dirigenti del Partito Popolare. Il partito svuotò il Partito liberale dall’apporto del voto cattolico e così introdusse un nuovo fattore di crisi.
Oltre a questi due partiti si era evoluto un movimento nazionalista che spingeva per la creazione di uno Stato forte rappresentato da una monarchia autorevole, punto di equilibrio della nazione. Il movimento nazionalista era molto critico verso la democrazia e il parlamentarismo e aveva una visione corporativa della società. In politica estera propugnava espansionismo e imperialismo. Naturalmente era di stampo aristocratico ed elitario ed era appoggiato dalla grande industria e dalla alta finanza, organizzava combattenti ed ex combattenti. Esponente di spicco D’Annunzio che il 12 settembre 1919 aveva occupato Fiume con un colpo di mano. Fiume rimase occupata per un anno e D’Annunzio emanò la carta del Carnaro, una sorta di Costituzione del nuovo stato di Fiume, uno stato incentrato sulle corporazioni, il disprezzo per la democrazia parlamentare, l’esaltazione della violenza come fuoco rigeneratore, il culto della personalità, il mito della giovinezza, i rituali di massa, il gusto della scenografia. Tutti elementi che caratterizzeranno il fascismo.
Il 19 giugno 1919 cade il governo Orlando logorato dalle lunghe trattative di pace di Parigi, il 23 giugno nasce il governo Nitti che abbandona la linea nazionalistica di Orlando, si riavvicina agli Usa e per Fiume cerca di prendere tempo ma inutilmente visto l’atteggiamento di D’Annunzio.
Cercò di trasformare in senso democratico lo stato liberale, smobilitò l’esercito, migliorò il sistema delle assicurazioni sociali, presentò un progetto di legge per la giornata lavorativa di otto ore, accelerò la conversione della economia di guerra in economia di pace, fece una riforma fiscale che colpiva proporzionalmente i redditi più elevati, cercò di contenere le spinte eversive sia di destra che di sinistra.
La riforma che ebbe conseguenze più rilevanti fu la riforma elettorale che introdusse lo scrutinio di lista e il sistema proporzionale al posto del sistema uninominale, eliminò le ultime limitazioni al suffragio universale maschile portando gli elettori da 5 milioni e mezzo a 11 milioni.
Il 16 novembre 1919 le elezioni produssero una rivoluzione politica: I socialisti ottennero il 32,4% e 156 seggi, i popolari il 20,6% e 100 seggi. Sconfitti i liberali da Giolitti a Salandra che ottennero 179 deputati da 310 che avevano e i radicali scesi a 38 da 73. La sinistra e la destra storica persero così la maggioranza che avevano sempre avuto dall’unità d’Italia in poi. Tuttavia la rigidità dei socialisti arroccati su posizioni massimaliste rendevano difficile la formazione di governi di alleanza sia con i popolari, sia con liberaldemocratici che a loro volta dovettero cercare l’appoggio dei popolari che risultarono così decisivi per la formazione del governo Nitti e di quelli successivi fino al 1922 creando dunque una situazione di instabilità e di vuoto di potere in cui si inserirono le destre i nascenti fascisti.
Fonte: Carlo Capra – Franco Della Peruta – Giorgio Chittolini “Corso di storia” Ed. Le Monnier
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