La Convenzione delle Nazioni Unite ad hoc supera il precedente modello medico e mette in relazione la disabilità con l’ambiente circostante: barriere e ostacoli a una piena partecipazione alla vita sociale rappresentano quindi una forma di discriminazione. Conoscerle è il primo passo per combatterle. La rubrica di LEDHA.
La Convenzione delle Nazioni Unite per i diritti delle persone con disabilità è un trattato internazionale finalizzato a combattere le discriminazioni e le violazioni dei diritti umani. Con la ratifica da parte del Parlamento italiano il 24 febbraio 2009 la Convenzione è diventata legge dello Stato. Il Centro antidiscriminazione Franco Bomprezzi di LEDHA-Lega per i diritti delle persone con disabilità vuole far conoscere a un pubblico più ampio possibile principi cardine della Convenzione la cui finalità è quella di “promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, e promuovere il rispetto per la loro intrinseca dignità”. Per questo curerà una sorta di rubrica online con cadenza settimanale, articolata in sei appuntamenti, e sarà curata da legali ed esperti in materia di diritto antidiscriminatorio. Il Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi è sostenuto da Fondazione Cariplo.
Quando si parla di disabilità il punto di riferimento fondamentale è la Convenzione delle Nazioni Unite, approvata a New York il 13 dicembre 2006 e ratificata dallo Stato italiano nel 2009 (legge 18). La particolarità di questo documento sta nel fatto che, pur facendosi promotore dei diritti delle persone con disabilità, rappresenta “completamento dei trattati sui diritti umani già esistenti”. Le Nazioni Unite chiariscono infatti che “la Convenzione […] non riconosce alcun nuovo diritto alle persone con disabilità, in quanto chiamata a chiarire gli obblighi e i doveri che gli Stati hanno assunto al fine di assicurare l’egual godimento di tutti i diritti umani da parte delle persone con disabilità. La Convenzione identifica alcune aree in cui sono necessari degli adattamenti affinché le persone con disabilità possano esercitare in modo pieno i propri diritti”.
Si pensi ad esempio all’istruzione, diritto fondamentale di tutti i bambini (sancito dall’articolo 34 della Costituzione). Affinché sia esigibile per alunni e studenti con disabilità sono necessari degli adattamenti come il Progetto educativo individuale (Pei), l’insegnante di sostegno, il servizio di assistenza educativa. La finalità della Convenzione, quindi, non è di affermare diritti nuovi, ma eliminare i pregiudizi, le barriere (fisiche e non) che circondano le persone con disabilità discriminandole e impedendo loro di usufruire dei propri diritti, opportunità e occasioni di vita.
La Convenzione delle Nazioni Unite ha inoltre determinato una rivoluzione copernicana nella concezione di disabilità determinando il passaggio dal cosiddetto “modello medico” a quello “bio-psic-osociale”. Il primo guardava alla disabilità come a un problema del singolo causato da una malattia, da un trauma o altra questione sanitaria. Di conseguenza la persona era ridotta al ruolo di paziente, destinatario di cure e di politiche basate sull’assistenzialismo o di deboli forme di inclusione sociale. L’approccio seguito era “causa-effetto”: la menomazione era causa di incapacità e l’incapacità a sua volta causa di svantaggio sociale.
La Convenzione ha segnato la fine di questa visione anche se nel nostro ordinamento ne rimangono tutt’ora dei retaggi sia dal punto di vista normativo (i casi più emblematici sono le definizioni di invalidità -risalente alla legge 118/1971- e di handicap) sia dal punto di vista della strutturazione dei servizi a favore delle persone con disabilità.
Il modello oggi di riferimento, quello bio-psico-sociale, guarda invece, alla disabilità quale “risultato dell’interazione tra persone con minorazioni e barriere attitudinali ed ambientali, che impedisce la loro piena ed efficace partecipazione nella società su una base di parità con gli altri”. La disabilità cessa quindi di essere un problema dell’individuo per diventare una questione che riguarda tutti: spetta infatti all’intera società il compito di apportare le modifiche necessarie per garantire una piena partecipazione delle persone con disabilità a tutte gli ambiti della vita sociale.
Il modello bio-psico-sociale, inoltre, abbandona l’obiettivo della guarigione a favore di quello dell’inclusione: la disabilità deve quindi essere letta come diretta conseguenza dell’incapacità della società ad adattarsi alle esigenze dei propri cittadini ed è il risultato dell’interazione fra persone e barriere di varia natura che di fatto impediscono una piena partecipazione alla società. Partecipazione che, diversamente da quanto spesso accade, non deve più essere garantita “nei limiti del possibile” o “in base alla disponibilità delle risorse disponibili”, ma in modo pieno ed effettivo ai fini del raggiungimento dell’uguaglianza con gli altri.
Le discriminazioni, inoltre, non vanno più guardate solo “nell’ottica del maltrattamento”: si ha una discriminazione ogni volta in cui, indipendentemente dalle cause, le persone con disabilità hanno meno opportunità rispetto alle altre. Ogni anno il Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi di LEDHA-Lega per i diritti delle persone con disabilità riceve circa mille richieste di informazioni, di queste circa un terzo richiedono un intervento legale per affrontare comportamenti o situazioni potenzialmente discriminatorie. Che in alcuni casi possono essere facilmente identificati come tali, ma che più spesso non vengono riconosciute: ancora oggi, infatti, si pensa che sia “normale” che gli alunni con disabilità inizino a frequentare la scuola con settimane di ritardo perché non è ancora stato assegnato l’insegnante di sostegno. O che sia “normale” vivere in una città piena di barriere architettoniche. Questi saranno i temi che andremo ad approfondire all’interno di questa rubrica.
La Convenzione, lo ricordiamo ancora una volta, colloca la persona con disabilità all’interno della società nella sua dimensione personale, solo in questo modo sarà possibile apprezzare “i preziosi contributi, esistenti e potenziali, apportati dalle persone con disabilità in favore del benessere generale e della diversità delle loro comunità [e il fatto che] la promozione del pieno godimento dei diritti umani, delle libertà fondamentali e della piena partecipazione nella società da parte delle persone con disabilità porterà ad un accresciuto senso di appartenenza ed a significativi progressi nello sviluppo umano, sociale ed economico della società e nello sradicamento della povertà”.
Affinché ciò sia possibile, l’attenzione deve essere sempre e prima di tutto alla persona. In questo aiuterebbe una rivoluzione nel linguaggio di tutti i giorni: le varie espressioni più o meno “corrette” devono essere abbandonate a favore di “persona con disabilità”, così come previsto dalla Convenzione Onu.
Nel dirlo ci facciamo aiutare da Franco Bomprezzi, giornalista e già presidente di LEDHA, a cui è intitolato il Centro antidiscriminazione: “Non è agevole muoversi tra le parole sperando che esse riescano a rappresentare in modo chiaro e al tempo stesso neutrale uno stato, una situazione, una specifica realtà così complessa come quella della disabilità. ‘Persona con disabilità’: non ha sinonimi, non può essere contrabbandata con altre locuzioni, più o meno edulcorate. È oggi la definizione più corretta e condivisa a livello planetario per indicare quello che fino a ieri si definiva tout court ‘portatore di handicap’ o semplicemente ‘il disabile’. La qualità intrinseca di questa espressione sottolinea la ‘persona’, ossia la identità individuale imprescindibile e completa di ogni individuo. Mentre la specificazione ‘con disabilità’ aggiunge la specificità, non nega la condizione di disabilità, ma la sottrae al corpo e alla mente della persona, collocandola nella dimensione della relazione funzionale”.
di Laura Abet,
Laura Abet è la coordinatrice del Cento antidiscriminazione Franco Bomprezzi di LEDHA-Lega per i diritti delle persone con disabilità che offre assistenza legale con l’obiettivo di contrastare e ridurre le forme di discriminazione che, ancora oggi, rendono difficile la vita di tante persone e delle loro famiglie.
Da Altreconomia del 26 ottobre 2023
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