È nata la Barbie Bebe Vio, con tanto di protesi e sedia a rotelle. E fa già parlare di sé. Persino il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’ha citata nel suo discorso in occasione della Giornata internazionale della disabilità: «Questo dimostra che i successi sportivi hanno una ricaduta sulla vita sociale e quotidiana. Questa Barbie indurrà molti bambini e ragazzi a impegnarsi nello sport e questo è fondamentale per tutti i nostri concittadini con disabilità, senza disabilità o con disabilità non apparente» ha detto il Presidente.
La Mattel ha
dedicato una Barbie alla campionessa paralimpica di scherma per celebrare i 60
anni di storia dell’iconica bambola. L’obiettivo? Ispirare e incoraggiare tutte
le bambine a credere nelle loro capacità e a non rinunciare ai loro sogni. Se
la Barbie Bebe Vio ha un valore simbolico, perché è One of a kind, cioè in
copia unica, quest’anno l’azienda ha lanciato negli Usa una bambola in sedia a
rotelle e una con la gamba protesica.
Sono solo operazioni di marketing (o un eccesso di politically correct) oppure
una bambola può davvero servire a combattere il pregiudizio sulla disabilità e
aiutare l’inclusione? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Giada Morandi,
educatrice, anche lei in carrozzina, dottoressa in psicologia e coordinatrice
dell’ambulatorio ginecologico Fior di Loto di Torino, uno dei pochissimi in
Italia accessibili alle donne con disabilità.
«Una bambola da sola non basta ad abbattere gli stereotipi» risponde l’esperta.
«E certo non può favorire l’integrazione: la percezione che i bambini hanno dei
loro coetanei disabili è influenzata ovviamente dalla famiglia e dalla scuola.
Ma può essere un punto di partenza per sensibilizzare i genitori a parlare di
disabilità. E non solo. Può aiutare le bambine e le ragazze con disabilità a
sentirsi rappresentate. La mancanza di rappresentazione parte dall’assenza di
pensiero. E questo si traduce in discriminazione. Le ragazze con disabilità non
sono e non si sentono riconosciute come donne. Vedere che, come nella vita,
anche nei giochi ci sono bambine e donne come loro le fa sentire meno sole, meno
invisibili».
In questo senso la Barbie in carrozzina o con la protesi può favorire
l’inclusione. È una considerazione simile che ha spinto un gruppo di mamme
inglesi, qualche anno fa, a promuovere il progetto #toylikeme? per chiedere
alle aziende produttrici di giocattoli di mettere sul mercato anche giochi e
bambole disabili.
Lo stesso bisogno di identificarsi e di sentirsi rappresentate lo vivono anche
le adulte con disabilità. Lo sanno bene al Comune di Torino che nella locandina
della Campagna contro la violenza sulle donne È tutta un’altra storia scelgono
di pubblicare la foto anche di una ragazza in sedia a rotelle.
Piccoli gesti che possono contribuire a cambiare la percezione culturale della
disabilità, soprattutto al femminile. «Nell’immaginario di un bambino è
importante ci sia l’idea che una donna in carrozzina faccia parte della
normalità» conclude la psicologa. «È un modo per allenare i normodotati a
contemplare l’esistenza della disabilità e a concepirla come una delle
possibili condizioni della vita. Così quel bambino, crescendo, magari diventerà
un architetto che progetterà spontaneamente case senza barriere
architettoniche».
di Annaleni Pozzoli da Donna Moderna del 07.12.2019
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