C’è un grande equivoco che, a partire dall’iconografia, accompagna la cultura dell’accessibilità. Quell’omino stilizzato in sedia a rotelle, che tutti sono abituati a vedere sulla porta di un bagno pubblico o disegnato su un parcheggio, restringe il campo dell’immaginario e, in un certo senso, nuoce alla causa. Sì, perché quell’icona universale innesca un pensiero che, al di là delle singole sensibilità, suona più o meno così: non riguarda me, non riguarda i miei cari. E nell’epoca dell’egocrazia questa voce, sottotraccia, ostacola un’evoluzione decisa verso una progettazione inclusiva degli spazi.
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