Giovanni Barin Genitori Tosti, vicepresidente – L’emergenza Coronavirus ha messo in luce le tante criticità del sistema di gestione socio-sanitario nazionale e le sue ripercussioni sulle famiglie, in particolare su quelle più fragili che vivono direttamente la disabilità.
Non fanno notizia, allo stesso modo non la fa abbastanza
l’inestimabile pregio del Sistema Sanitario Nazionale, pubblico, che ci è stato
tramandato e che nonostante le troppe volontà di privatizzazione ma grazie alla
volontà di OSS, infermieri e medici, ci tutela ancor oggi in presenza di questa
emergenza. La disabilità insegna proprio a capitalizzare quel meraviglioso
tesoro che è il valore di tutta la comunità, il bene di tutti e di ciascuno.
Tra le tante criticità emerse, la questione sollevata da tanti sull’assistenza
a domicilio come fattore per limitare l’isolamento delle persone con disabilità
e le loro famiglie, deve essere affrontata urgentemente. Cercando però di
evitare di considerarla da prospettive personali o di parte. Non si tratta di
“egoismi”: ogni punto di vista è valido e portatore di istanze fondamentali. Si
tratta di trovare sempre il sistema per soddisfarle in ogni modo possibile. Si
parla prima di tutto delle famiglie dei caregiver familiari, già provate dalla
cronica insufficienza del supporto al familiare con disabilità e al genitore; spesso
monoparentali e recluse in casa a causa delle difficoltà ad organizzare
quell’uscita già limitata per le troppe barriere esistenti e oggi
“ufficialmente” vietata anche per la temporanea (speriamo) scomparsa dei
servizi ospedalieri dedicati.
L’assistenza a domicilio, sanitaria, socio-sanitaria e scolastica, sia per
bambin*, alunn* delle scuole, sia mirata a persone adulte, potrebbe essere una
soluzione, ma presenta delle evidenti incongruenze con le misure di emergenza
stabilite dal Governo per garantire la salute della collettività. Pur limitando
il rischio al rapporto assistente-assistito, quindi evitando il contatto tra
gruppi di persone, è infatti impossibile garantire con certezza il contenimento
del rischio di trasmissione del virus.
Con l’eccezione di possibili accordi che rientrano nell’organizzazione della
progettualità individualizzata, ma che lasciano aperti non pochi interrogativi
sulle responsabilità di eventuali contagi a una o entrambe le parti dovuti al
contatto ravvicinato. E senza dimenticare che è imprescindibile che tutti,
assistiti e assistenti, abbiano i dispositivi di protezione necessari, sia la
informazione e formazione per gestire le varie realtà che possono incontrare,
ben sapendo che la certezza matematica di evitare il contagio si ha forse solo
in ambienti sterili e con i dispositivi di protezione in uso nei reparti
ospedalieri dedicati alle malattie infettive.
La problematica origina dal fatto che una parte, le famiglie, che tutti i
giorni convive con una certa emarginazione che arriva appunto agli estremi per
i caregiver familiari, si è trovata con il nulla, soli senza alcuna azione di
sostegno da parte degli Enti; dall’altra gli assistenti -domiciliari, OSS,
educatori, all’autonomia e alla comunicazione- ai quali lo “stipendio” (spesso
già di importi troppo bassi nonostante la loro funzione preziosissima e che
viene riconoscono solo se l’attività di assistenza è effettivamente erogata)
rischia di venir meno con le gravi conseguenze facilmente immaginabili.
Per mitigare la situazione l’idea è stata di prevedere l’assistenza domiciliare
in regime di emergenza, senza però poter assicurare l’assenza del rischio di
contagio reciproco.
In sostanza, l’emergenza Coronavirus ha messo in evidenza che il sistema era
stato organizzato ormai da decenni per fornire un livello sempre più precario a
entrambe le parti. E in una situazione come quella odierna i continui tagli
all’assistenza hanno fatto emergere le criticità di tutti.
Come uscirne?
Solo rivedendo radicalmente la gestione scellerata arrivata sin qui, facendo
rientrare le figure professionali degli assistenti nelle categorie già presenti
nel pubblico e, in particolare per la scuola, nell’organico del MIUR.
Immediatamente.
Ma le criticità non terminano certo qui.
Se e quando nel comparto scolastico l’assistenza scolastica domiciliare non può
essere garantita, ogni sforzo deve essere fatto per avvicinare la didattica a
distanza alle esigenze di allieve e allievi delle scuole di ogni ordine e
grado, in particolare per quelli con disabilità. Ricordando sempre che anche
per quella a distanza, una didattica inclusiva avvantaggia tutti gli studenti.
Purtroppo in questi anni una larga parte della scuola non ha lavorato o non è
stata messa in grado di lavorare alla diffusione della didattica inclusiva che
sfrutta le tante tecnologie disponibili per la scuola a distanza. Per farlo
adesso con urgenza le scuole devono organizzare dei gruppi di lavoro con i
docenti esperti sul digitale. Iniziare è semplice: sul web è disponibile
moltissimo materiale gratuito da siti e social network. Le esperienze a livello
nazionale non mancano e si possono sfruttare le offerte di editori e software
house attivate recentemente. Sono cose note ai referenti per la disabilità come
nei CTS/CTI. Mettiamole in pratica, ma cerchiamo di farlo in modo coordinato
organizzando il lavoro: che i GLI e GLO si trovino in videoconferenza per
individuare e declinare su questa prospettiva gli obiettivi e le strategie dei
PEI, valutando caso per caso se e come sia possibile farlo, studiando le
modalità inclusive da mettere in atto, includendo la fondamentale
partecipazione degli assistenti, educativo culturali e all’autonomia e alla
comunicazione. Sono pratiche didattiche anche di semplice attuazione da parte
di chi non ha particolari capacità o desideri tecnologici.
Basta volerlo fare.
I Dirigenti Scolastici devono istituire dei tavoli di lavoro mettendo in rete
le tante risorse sui territori, famiglie e associazioni incluse.
Per finire il discorso scuola, oggi vengono a galla i danni della “buona
scuola”, tra i quali uno dei principali è il taglio dei GLIP, Gruppi di Lavoro
Interistituzionali Provinciali, dove si discutevano le strategie a livello
territoriale. Oggi più che mai sarebbero stati una fonte preziosa di inclusione
dove i vari Enti territoriali (ASL/ATS/ASST, Comuni, Provincia, Associazioni,
ecc.) avrebbero potuto lavorare per gestire l’emergenza.
Solo un lavoro concertato può gestire le eventuali impossibilità delle famiglie
ad accedere ai contenuti online e alla didattica a distanza, vuoi per
connessioni dati inadeguate o per hardware e software che hanno costi da
affrontare considerati come non prioritari rispetto alle esigenze primarie di
assistenza.
I dirigenti degli Uffici Scolastici devono convocare urgentemente delle
videoconferenze con tutti gli Enti un tempo partecipanti ai GLIP/GLIR; il
Governo deve ripristinarli immediatamente. E, in prospettiva futura, il Governo
deve eliminare la Legge 107/2017 e tutti i decreti applicativi successivi.
Credo sia l’unico modo per iniziare ad avvicinare tutti gli studenti e le
famiglie, alle tecnologie informatiche permettendo di utilizzarle secondo le
caratteristiche di ognuno, secondo il principio della “scuola di tutti e di
ciascuno”, anche per la didattica a distanza.
Da OrizzonteScuola.it del 12.03.2020
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