Si moltiplicano gli appelli per una gestione dell’emergenza più attenta alle persone con disabilità. Lisa Noja (IV): «nei nuovi contingenti di mascherine in arrivo alle Regioni, una parte vada a chi assiste persone con disabilità. Serve flessibilità nelle convenzioni, per poter andare a domicilio e linee guida per gestire i contagi. Facciamo in modo che si possa fare e diamo strumenti per farlo in sicurezza. Le associazioni non siano lasciate sole a decidere come comportarsi»
Chiudere i servizi diurni e semiresidenziali, potenziare l’assistenza
domiciliare. È un appello accorato, sollevato da Anffas non appena il
Coronavirus ha fatto la sua comparsa in Italia, ma che nelle ultime ore si sta
moltiplicando. Giovedì in provincia di Brescia è morta una persona con
disabilità di 38 anni, la più giovane vittima italiana del Covid19: un
educatore del centro diurno che frequentava era positivo. Qualche ente sta
dando già conto di strutture colpite in maniera importante dal virus. Educatori
e operatori, dopo giorni e giorni di presenza continua e silenziosa, ora
iniziano giustamente ad alzare la voce per la mancanza di dispositivi di
protezione individuale: nel pomeriggio di ieri, dopo la firma del protocollo
per la sicurezza dei lavoratori fra Governo e sindacati, Confcooperative e
Legacoop Lombardia hanno fatto un comunicato molto duro, facendo presente come
da tre settimane abbiano chiesto a Regione, Protezione civile, Governo che
fossero garantiti i DPI adeguati per poter continuare a svolgere il loro
lavoro, tutelando la salute delle persone che abbiamo in cura e degli
operatori. «Non abbiamo avuto nessuna risposta e la situazione continua ad
aggravarsi. Siamo stanchi di questa irresponsabilità delle istituzioni che non
decidono o tra loro dibattono all’infinito. Siamo al limite, senza presidi
sanitari adeguati saremo costretti a chiudere. Abbiamo 100mila utenti a rischio
tra anziani, disabili, tossicodipendenti, malati psichiatrici. Quasi il 30% dei
nostri operatori ammalati o in quarantena. Senza un aiuto non potremo garantire
più nessun servizio essenziale».
Elena Carnevali, deputata Pd, bergamasca, attenta al sociale e ai temi
sanitari, ieri sera su Facebook ha scritto un appello: «Chiudiamo i servizi
semiresidenziali per un tempo limitato e definito. Ma chiudiamo [… ] Non è
una scelta punitiva verso chi è più fragile, ma di prevenzione al rischio verso
chi è davvero più fragile anche nella malattia. Senza lasciarli soli».
Lisa Noja, deputata di Italia Viva, milanese, già nel weekend immediatamente
successivo all’individuazione del “paziente 1” di Codogno aveva scritto un post
per richiamare l’attenzione sul rischio maggiore che il Covid19 comporta per le
persone con disabilità o problematiche sanitarie, come lei.
Onorevole, a che punto siamo?
Il decreto legge numero 14 del 9 marzo 2020, articolo 9, “Assistenza a persone
e alunni con disabilità” è per ora il riferimento più diretto alle persone con
disabilità in questa emergenza Covid19. È il decreto per il potenziamento del
Servizio sanitario nazionale, che al capitolo II prevede anche il potenziamento
delle reti assistenziali: «entro dieci giorni dall’entrata in vigore del
presente decreto (il 10 marzo, ndr) presso una sede di continuità assistenziale
già esistente [viene istituita] una unità speciale ogni 50.000 abitanti per la
gestione domiciliare dei pazienti affetti da COVID-19 che non necessitano di
ricovero ospedaliero», in modo da consentire ai medici e ai pediatri di base di
proseguire l’attività ordinaria. In questo capitolo si parla specificatamente
delle persone con disabilità, prevedendo che durante la sospensione del
servizio scolastico gli enti locali possono fornire assistenza agli alunni con
disabilità mediante erogazione di prestazioni individuali domiciliari, per
sostenere gli alunni nella fruizione delle attività di didattica a distanza, a
valere sui medesimi fondi ordinari già destinati al sostegno e alle stesse
condizioni assicurative sinora previste. Si dice anche che le regioni e le
province autonome «hanno facoltà di istituire, entro dieci giorni dall’entrata
in vigore del presente decreto, unità speciali atte a garantire l’erogazione di
prestazioni sanitarie e socio-sanitarie a domicilio in favore di persone con
disabilità che presentino condizione di fragilità o di comorbilità tali da
renderle soggette a rischio nella frequentazione dei centri diurni per persone
con disabilità». Quindi non c’è una indicazione univoca, c’è questo decreto e
una circolare dell’Ufficio per le politiche in favore delle persone con
disabilità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri in cui si chiede di
valutare se i Centri diurni siano tra le attività soggette a sospensione
ricordando però che contemporaneamente si renderebbe necessaria un’azione
compensativa di supporto domiciliare per gli utenti dei Centri e i loro
familiari, in modo da non far venire meno i servizi di assistenza essenziali.
I dieci giorni per il potenziamento delle reti assistenziali, con delle
“centrali speciali” scadono alla fine di questa settimana. Si sta muovendo
qualcosa?
Una premessa è necessaria e doverosa. Il Governo sta affrontando una situazione
emergenziale, con un milione di problemi al minuto, il mio spirito è
lontanissimo dalla polemica, però questa delle persone con disabilità è una
priorità nelle priorità, perché davvero rischiamo che le persone muoiano o
siano abbandonate a loro stesse. La situazione di fatto è abbastanza bloccata.
Ad oggi non solo le varie regioni hanno fatto scelte diverse rispetto alla
chiusura dei servizi diurni e semiresidenziali, ma anche nella stessa regione
sono state fatte scelte diverse. Fondamentalmente la scelta è stata demandata
ai gestori, ma non è giusto lasciare soli le associazioni e gli enti a decidere
cosa fare e cosa non fare. In più c’è il problema dei dispositivi di protezione
individuale, che gli operatori non hanno. Abbiamo proposto che nei contingenti
di materiali che arrivano alla Regioni ci sia una percentuale che vada ai
servizi per le persone con disabilità e ai privati che assistono una persona
con disabilità o con una non autosufficienza grave: una badante che ogni giorno
va e viene dal domicilio di una persona con disabilità o non autosufficienza
grave non può non avere la mascherina. Al momento il Governo sta cercando di
fare questo discorso con i nuovi contingenti di mascherine che arriveranno, il
Commissario straordinario è stato sensibilizzato dalla Presidenza del Consiglio
dei Ministri sul punto, ma sono poi le regioni e gli enti locali che devono
fare la loro parte.
Ci sono anche problemi concreti non scontati però, sullo spostamento dei
servizi al domicilio. Operatori che legittimamente hanno paura, che sono
assunti per un altro tipo di attività…
Molti enti hanno segnalato il fatto che le convenzioni in essere sono per il
diurno o il semiresidenziale o il residenziale: di conseguenza fare prestazione
domiciliare vuol dire uscire dalla convenzione. Io penso che serva flessibilità
in questo momento: quello che conta è il tipo di prestazione, non se la fai in
sede oppure no. Ho presentato un emendamento al DL 14 sul potenziamento del
sistema sanitario, ma la discussione in Parlamento è pendente e non avrà tempi
brevissimi: la richiesta è che si autorizzino le convenzioni momentaneamente a
cambiare, per poter attivare la prestazione domicliare. Un po’ come nello
stesso decreto 14 è stato fatto per l’assistenza educativa agli alunni con
disabilità: il decreto prevede che l’educatore vada a casa, con gli stessi
fondi. Occorrerebbe una cosa simile, altrimenti i centri non potrebbero andare
a casa delle persone.
E se poi nessuno ci volesse andare?
Intanto cominciamo a togliere i lacci e facciamo in modo che si possa fare.
Diamo strumenti per poterlo fare in sicurezza. Poi mi rendo conto che le
sensibilità e la forza di fare alcune cose è diversa e non si può forzare… però
credo davvero che tante paure dipendono dal fatto che non ci siano i
dispositivi di protezione individuale né indicazioni univoche. In molti casi
basterebbe un supporto informatico per dare una mano alle famiglie per fare
alcune attività in remoto: molti centri hanno la competenza professionale per
dare questo tipo di assistenza ma non sono attrezzati dal punto di vista
tecnologico, per cui avere delle indicazioni a livello centrale di fattibilità
potrebbe a cascata sbloccare delle sinergie proficue fra Terzo Settore e
privati che collaborino mettendo a disposizione infrastrutture tecnologiche.
L’importante è che le persone con disabilità e le loro famiglie si sentano
supportate e non abbandonate, in balia di provvedimenti che non tengono conto
delle difficoltà pratiche che esse vivono e che sono oggettivamente diverse da
quelle del resto della popolazione.
Cosa serve secondo lei, più di tutto, in questo momento?
Ci vuole un provvedimento, un decreto, un DPCM o almeno una circolare ad hoc,
che affronti questo tema con tutti i problemi concreti che ne derivano, tutto
insieme, invece di dare indicazioni sparse in vari decreti. Servono protocolli e
linee guida, li stanno facendo per tanti settori, facciamolo anche qui, per non
lasciare soli gli enti e le associazioni a decidere cosa fare e come farlo:
serve dire come comportarsi nel caso di un contagio, come gestire gli
approvvigionamenti… Soprattutto non è tollerabile che si dica “chiudiamo
il centro” e si lascino le famiglie sole: vorrei che si capisse che una
persona con disabilità, come me, non può fare la quarantena come gli altri, ha
bisogno di assistenza. Non possiamo portare in ospedale tutte le persone con
disabilità che fossero positive, quindi bisogna che possano rimanere in
isolamento nelle loro case, nelle condizioni loro date.
di Sara De Carli da Vita.it del 16.03.2020
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