Non sono più necessari due anni di residenza in Lombardia per ottenere il contributo mensile di 600 euro previsto per i disabili gravissimi. Per il Tribunale di Milano (Sezione lavoro) tale requisito è “discriminatorio e irragionevole” e ha quindi accolto il ricorso presentato da Ledha-Lega per i diritti delle persone con disabilità, Anffas Crema, Anffas Legnano e Asgi-Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione. La regione era già stata bocciata (nel marzo del 2020), addirittura dalla Corte Costituzionale, per il requisito dei cinque anni richiesto a chi voleva presentare una domanda per la casa popolare.
I requisiti per l’accesso alle forme di sostegno alla “disabilità gravissima” (Misura B1) sono specificati dalla Delibera della Giunta regionale lombarda del 18 febbraio 2020 n. XI/2862 con la quale Regione Lombardia ha definito il Programma Operativo regionale in favore delle persone con “gravissima disabilità” e in condizione di non autosufficienza e grave disabilità in base a quanto previsto dal Fondo per la non autosufficienza per il triennio 2019-2021.
Come conseguenza dell’aver riconosciuto il carattere discriminatorio del provvedimento, il giudice ha ordinato alla Regione Lombardia di modificare la delibera e di riaprire, per almeno tre mesi, i termini per la presentazione delle domande, al fine di consentire di presentare la domanda anche alle persone che erano state inizialmente escluse.
“Il diritto alla vita indipendente delle persone con disabilità va inquadrato tra i diritti fondamentali dell’individuo, essendo presupposto primario per consentire una piena partecipazione alla vita di comunità e il pieno esercizio di tutti gli altri diritti fondamentali tutelati a livello costituzionale”, scrive il giudice nel dispositivo della sentenza. Respinta, invece, la linea di difesa sostenuta dalla Regione Lombardia secondo cui il requisito della residenza era stato fissato in ragione della limitatezza delle risorse disponibili e dalla volontà di limitare la mobilità intra-regionale dettata dall’attrattiva del contributo.
“La sentenza del Tribunale di Milano ha accolto le nostre richieste – sottolinea l’avvocato Alberto Guariso, di Asgi – Associazione giuridica per gli studi sull’immigrazione. – La ‘Misura B1’ è una prestazione che attiene al diritto alla vita indipendente delle persone con disabilità e, come tale, riconducibile ai diritti fondamentali della persona. Pertanto, non possono essere posti limiti che siano arbitrari e del tutto estranei al bisogno come, appunto, quello della residenza”. Nella presentazione del ricorso, ASGI aveva evidenziato anche il rischio di una discriminazione multipla ai danni delle persone con disabilità di origine straniera, a causa della maggiore difficoltà per gli stranieri, rispetto agli italiani, a maturare i requisiti di residenza richiesti dalla normativa.
“Il diritto a una vita autonoma e indipendente per le persone con disabilità è tutelato dall’articolo 19 della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’Italia e quindi legge dello Stato – sottolinea Laura Abet, del Centro Antidiscriminazione di Ledha. Prevede espressamente il diritto delle persone con disabilità ad avere accesso a una serie di servizi ‘per consentire loro di vivere nella società e di inserirvisi e impedire che siano isolate o vittime di segregazione’. Inserire un criterio totalmente estraneo, come quello del vincolo di residenza, significa limitare, di fatto, un diritto fondamentale. Ora è importante divulgare la notizia della prossima riapertura dei termini”.
Da Redattore Sociale del 26/11/2020
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