L’ex coordinatore della consulta comunale Roberto Sala racconta le difficoltà che in questo momento devono affrontare le persone fragili.
I timori per l’assistenza in ospedale e le difese immunitarie più basse. «Vedo i giovani che non vogliono rinunciare a nulla, e mi dà fastidio».
BRESCIA. È un momento buio per tutti. Ma per qualcuno,
ancora di più. Sono i disabili costretti a letto, in carrozzina, immobili, che
devono utilizzare un ausilio per respirare e dipendere dagli altri per le prime
necessità. Si è raccontato in questi giorni di scene da medicina di guerra, negli
ospedali. Di medici costretti a scegliere a chi prestare assistenza tra persone
giovani e anziani, persone in buona salute e con patologie pregresse, per la
carenza di letti, attrezzature e personale. E i più fragili sono in bilico tra
la paura del contagio e quella di non trovare nelle strutture l’assistenza
necessaria. Lo racconta bene Roberto Sala che negli anni Duemila è stato per un
quinquennio coordinatore della Consulta per la disabilità e dall’età di
trent’anni è in carrozzina a causa di una malattia genetica. «Pensavo a quelle
persone che utilizzano il CPAP per dormire perché soffrono di sclerosi, SMA o
altri problemi più gravi dei miei – racconta -. A quelle che sono costrette a
fare ogni giorno fisioterapia. Nella maggior parte dei casi si è cercato di
organizzarsi per l’assistenza domicilio ma è innegabile che abbiamo
un’apprensione in più». Roberto nelle scorse ore ha commentato duramente su
Facebook alcune esternazioni di Vittorio Sgarbi («Andate in giro e non vi
succederà niente», avrebbe detto il critico d’arte): «La cosa che mi fa
arrabbiare – ha scritto – è che se fossimo in lista per entrare in terapia
intensiva, lui per gli standard deontologici avrebbe la precedenza». Una
persona disabile è sempre fragile, ma oggi è davvero a rischio. Ha le difese
più basse, e minori possibilità di sopravvivenza. «Spesso un disabile ha una
vita ridotta questo comporta problemi di tipo motorio; la distrofia modifica la
vita per cui tutti gli organi del tuo corpo riducono la loro funzionalità, e si
verifica un’alterazione del sistema immunitario», continua. Perciò le
possibilità di contrarre il Coronavirus sono anche maggiori, e con l’aggravante
che i contatti con l’esterno non sono un’opzione, quasi sempre sono la
necessità, perché rinchiudersi in casa da soli è impossibile; essere assistiti
da un familiare, oppure da una persona esterna è questione di vita o di morte.
«Ho visto quei ragazzi che sono ancora fuori, che non ne vogliono sapere di
rispettare le regole – racconta ancora Sala – e non si stanno rendendo conto
che fanno un danno a tutta la società».
Senza dimenticare infine le difficoltà delle famiglie che hanno una persona con
una disabilità cognitiva come il disturbo dello spettro autistico. «Ne conosco
alcuni e per loro ogni novità, ogni cambiamento di abitudini è una sfida
enorme». I problemi logistici legati all’emergenza Coronavirus insomma sono il
male minore («io ho una rete familiare che mi supporta in tutto e per tutto, ma
ognuno ha la sua rete sociale o le associazioni di riferimento»). Quello che
più preoccupa è la paura del futuro, e soprattutto la paura che la società non
abbia abbastanza a cuore la sorte di chi è più fragile. «È vero, forse vivo con
più fastidio la risposta di un ragazzo di 25 anni a cui si chiede di rinunciare
alla sua vita e non lo vuole fare – spiega Roberto -. Ci pensavo in questi
giorni, è tutto frutto di una disgregazione sociale che esiste. Terminata
questa fase di emergenza bisogna rimettere in moto tutto ciò che fa coesione. È
un lavoro lunghissimo, ma obbligatorio».
di Natalia Danesi da Bresciaoggi del
11.03.2020
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