Chi poteva immaginare mai che quella meravigliosa relazione, da poco fortificatasi, tra disabilità, tecnologie didattiche e didattica a distanza, potesse avere una piccola battuta d’arresto e una modificazione progettuale, tanto inattesa quanto imprevedibile, a causa del Coronavirus?
Inutile prendere in esame, per rispondere alla domanda, le tante polemiche,
pretestuose e infruttuose, di quanti, prendendo spunto dall’indagine proposta
da ministero dell’Istruzione, piuttosto che fronteggiare l’emergenza cavalcano
le proteste. Servono? Sono forse utili alla nostra scuola? Vediamo la
rassegnazione e l’incapacità a trovare una soluzione ad una questione vitale
quanto importante, connessa oltre che alla disabilità anche ai soggetti con DSA
e, nel complesso, quindi, alle studentesse e agli con bisogni educativi
speciali. Ma di cosa parlano, piuttosto, docenti, dirigenti e operatori vari
quando affermano, con scarsa cognizione e inesistente capacità organizzativa,
che la didattica a distanza e, dunque, le tecnologie creano una scuola della
diseguaglianza? Diseguaglianza collegata alle problematiche educative o
piuttosto, quindi più generalmente, a quelle sociali? Le une e le altre vanno
combattute sul piano della proposta e affrontate sul piano dell’intervento
metodologico e didattico.
Integrazione e scelta tecnologica.
Ormai è, assolutamente, conclamato il fatto che per una effettiva integrazione
degli studenti disabili dentro l’istituzione scolastica è necessario,
prioritario e non più rimandabile la scelta tecnologica e della didattica
capace di tallonare gli studenti anche oltre le mura dell’istituzione
scolastica.
La scommessa di oggi, quella reale e vera, da sponsorizzare e far nostra, è
quella che lega indissolubilmente le tecnologie didattiche all’integrazione
scolastica delle varie e specifiche disabilità (e non solo). Altro che scuole
delle diseguaglianze quella che stiamo rincorrendo, in questa frenetica corsa
alla compensazione delle decennali assenze nella scuola italiana. Se mai ci
fosse una diseguaglianza, e c’è per ragioni sociali e economiche, questa va
colmata con un surplus di risorse per garantire, ad ogni alunno, l’accesso alla
tecnologia e a internet.
Il ruolo della didattica speciale.
Quale è il ruolo della didattica speciale, oggi, in queste convulse settimane,
in una situazione contraddistinta da numerosi cambiamenti sul piano
organizzativo?
È necessario comprendere il ruolo che le tecnologie possono assumere in tale
tipo di didattica e, prioritariamente, individuare come intervenire, lasciando
da parte diffidenze e polemiche sterili.
Quale accessibilità e quale usabilità delle tecnologie didattiche disponibili?
C’è per gli studenti disabili, sul piano operativo, delle competenze
disciplinari e nell’accesso e alla presa di possesso di contenuti e conoscenze,
la possibilità di competere anche a distanza? In che modo? Cosa è necessario
fornire loro?
Ed il docente, un po’ distratto, anche lui, da questi mutamenti, come si
colloca in questa nuova prospettiva didattica?
La didattica orientata alla speciale normalità.
Intanto, è necessario ricordare che una didattica orientata alla speciale
normalità è da intendere e attuare come didattica tesa ad muovere la sua
offerta formativa per dare risposta alla eterogeneità in aumento dei bisogni
percepiti nelle classi, avendo cura a non perdere di vista, mai, assolutamente,
la prassi delle capacità presenti, a numerosi livelli di sviluppo, in ciascuno
degli studenti e la normalità della necessità di formazione indispensabile per
introdursi completamente nella società. Questo è ciò che intendiamo per
didattica per tutti, sia per gli studenti disabili, sia per coloro che
presentano bisogni educativi speciali, e più in generale per tutti gli
studenti, ciascuno dei quali ha sue qualità, un suo e proprio stile di
apprendimento, interessi specifici ma anche bisogni variati. Una didattica
disposta ad una necessaria e speciale normalità è da intendersi come una
didattica che rincorre, convintamente, l’integrazione scolastica su numerosi
piani. Il primo tra essi non può che essere quello operativo, quello
dell’accesso ai contenuti, quello dello sviluppo di competenze.
In questo quadro organizzativo che, lo speciale momento ci sta obbligando a
rincorrere e a far nostro, affermiamo convintamente che le tecnologie
didattiche devono incaricarsi di interpretare, autorevolmente (quindi senza
critiche e con proposte operative) tre diversi ruoli che corrispondono a modi
di intendere della stessa misura e dello stesso agire educativo, orientati,
comunque, alla speciale normalità.
Si tratta di strumenti equilibranti, per “abilitare”, per “fare”, per aprire a
nuovi modelli e per rendere normali tecnologizzate le attività altrimenti
precluse ad alcuni alunni.
Attività che solo esse determinano, facilitandone l’introduzione nella vita di
ciascuno, l’integrazione sul piano operativo.
Gli strumenti.
Il riferimento va agli strumenti per accrescere le competenze e le capacità
disciplinari in quei contesti di apprendimento in cui essi sono necessari.
Strumenti capaci di dare risposte ai bisogni formativi degli studenti
coinvolti; strumenti per apprendere; strumenti per innescare conoscenze e
contenuti con attenzione alle modalità di accesso alle indicazioni più adeguate
agli studenti.
Cosa è accaduto, però, nella scuola italiana, in questi ultimi decenni? È capitato
che non ci siamo assolutamente resi conto (non lo ha compreso il ministero e
non solo lui, chiaramente, facile sarebbe riversargli le responsabilità) che
non c’è stato un adeguamento della scuola al moderno progresso tecnologico e
alla diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione in
tutti i campi della vita sociale.
A tutti gli studenti un pc, anche quelli degli insegnanti.
Anziché puntare a fornire a “tutti” gli studenti un pc abbiamo puntato a bonus
spesi senza razionalità alcuna, talvolta. Gli studenti devono, tutti insieme,
essere messi nelle condizioni di avvalersi del computer e dei software, e dei
servizi Internet. E quando taluni lamentano l’impossibilità, in questo momento,
di fornire tutti gli studenti di pc e accesso internet, si farebbe bene a fare
un controllo oculato e attento del patrimonio tecnologico della scuola
(sottraendo quello inutilmente in comodato d’uso ai docenti, già da anni, con
il bonus di 500,00 euro, in grado di acquistare ciò che si vuole) e provvedere
tempestivamente alla consegna dei tanti PC, inutilizzati o parcheggiati, perché
obsoleti, nei cassetti degli insegnanti, agli alunni che, per condizioni
socio-economiche, ne sono sprovvisti.
La tecnologia assistiva.
La scuola attenta è quella nella quale si è in grado di puntare ad una
tecnologia assistiva. Cioè all’insieme di soluzioni tecniche hardware e
software in grado di fornire configurazioni di postazione di studio adattate
alle necessità speciali degli utenti speciali, consentendo di oltrepassare o
limitare i vincoli di svantaggio imposti ad una specifica disabilità. Tra
questi, ad esempio, è da segnalare il “Lettore di Schermo” che è quel software
di lettura a scansione che sia in grado di garantire ad uno studente non
vedente ovvero non in grado di conoscere e di fruire efficacemente del
contenuto dello schermo nei sistemi operativi con collegamento o(come, ad
esempio, Windows). Le scuole ne hanno acquistato licenza? Non nella prospettiva
dell’oggi, ma nella consapevolezza ineludibile dello ieri. No. Se ne avessero
discusso ieri, trovando le vere responsabilità, oggi parleremmo d’altro,
anziché dell’incapacità quotidiana di gestire la diversa normalità degli
studenti. Lo screen reader, tanto per fornire una risposta alle tante e
numerose domande che potrebbero, ragionevolmente, sorgere, dà, in modo testuale
e chiaro con il display braille o la sintesi vocale, le notizie indispensabili
sia sul contenuto (per esempio il testo che è stato dattiloscritto) sia sulla
loro normale disposizione (titolo, barra dei menu). L’accessibilità di uno
strumento o di un prodotto informatico rappresenta il presupposto di base al
fine che possa essere usato all’interno della scuola, da parte di studenti
disabili e, in particolare, da quelli che presentano deficit visivi o motori.
Il termine usabilità è, piuttosto, adoperato per determinare il grado di
efficienza dell’uso di uno dispositivo o di un prodotto informatico.
Tecnologie didattiche e integrazione nello sviluppo di competenze disciplinari.
L’autonomia nell’utilizzare il computer nel contesto scolastico avrebbe
richiesto (ma, qui sì, è possibile far autocritica) ma non l’ha dato, complice
una scuola troppo poco concentrata su una infinità di riunione e meno sulla
formazione, lo sviluppo di competenze specifiche attinenti al settore
disciplinare in cui esso viene usato. Sovente, confrontandoci sulle
problematiche legate all’integrazione nello sviluppo di competenze di studenti
disabili attraverso l’uso di tecnologie, l’interesse è posto su ciò che manca e
le tecnologie divengono dispositivo per porre rimedio a tale mancanza. Questo
impianto se da un lato sembrerebbe corretto per affrontare i problemi relativi
ad aspetti di accessibilità o nell’uso di tecnologie per scopi riabilitativi,
dall’altro, invece, essa sembrerebbe o, meglio ha l’aria, di essere non
appropriata, o almeno non continuativamente appropriata, per incoraggiare lo
sviluppo di abilità in un certo ambito disciplinare. Ciascun ambito
disciplinare è contraddistinto da specifiche tecniche che sono sistemi
operativi per decifrare compiti attinenti a tale ambito. Per far ciò, però, è
necessario imparare a usare distinte tecniche che, per motivi di efficienza
nello sviluppo di ogni attività, dovrebbero divenire routine. Però che se da un
lato l’attività didattica si limita alla presa di possesso e all’uso di bene
definite tecniche, dall’altro lato potrebbe diventare regola, una serie di
rimedi da cucire in ben definiti e determinati compiti meccanici. Questo
approccio, sfortunatamente, è quello che molto spesso contraddistingue
l’istruzione agli alunni con ritardi nell’apprendimento in un certo ambito
disciplinare. Gli alunni disabili, a causa dei loro deficit, mostrano ritardi e
difficoltà nei vari ambiti disciplinari. Noi riteniamo che raccogliendo l’impegno
solo o soprattutto sugli aspetti assenti si abbandonino i punti di vista e i
bisogni complessivi dell’individuo e per effetto non si riesca a determinare un
contesto educativo adatto e, soprattutto, in grado di aiutare l’allievo nello
sviluppo dei processi cognitivi implicati nell’uso funzionale di una tecnica.
Tra questi, ad esempio, lo sviluppo dei processi cognitivi implicati
nell’anticipo e nella pianificazione di una strategia di azione, nella
generazione di ipotesi e di argomentazioni, nella esposizione di un testo o di
un prodotto attinente ad un’azione condotta non possono assolutamente essere
compresi se vengono volontariamente ed erroneamente sganciati dalle forme
culturali e dalle attività sociali che contraddistinguono l’attività entro la quale
tali processi vengono coinvolti. I risultati di numerose e qualificate ricerche
svolte negli ultimi decenni, all’interno di diversi quadri teorici, tra questi
quelli della Distributed Cognition, dell’Activity Theory, e della Situated
Action, combinano sul fatto che il ambito influenza decisamente lo sviluppo dei
processi cognitivi, non solamente perché li favorisce o li limita, ma anche per
poterli determinare. Questi risultati di ricerca ci conducono a ritenere che
sia necessario, più di ogni altra cosa, mettere in evidenza non solamente ciò
che manca (tecniche di base), ma più in generale la persona disabile stessa che
andrebbe esaminata nel complesso dei suoi bisogni. Bisogni che dovrebbero (lo
fanno?) trovare risposte (almeno parziali) nel contesto educativo in cui si
sviluppa l’attività di insegnamento/apprendimento. Ciò implica che nella
pratica didattica sia valutata attentamente la modalità del come equilibrare la
relazione esistente tra disabilità e sviluppo di tecniche con la relazione tra
disabilità e bisogni complessivi del bambino.
La tecnologia e la didattica a distanza.
In questo contesto anche l’uso degli strumenti tecnologici deve essere
considerato non solamente in relazione allo sviluppo di specifiche tecniche ma
anche come strumento in grado di strutturare un contesto educativo nel quale
possano emergere i processi cognitivi che risultano coinvolti nell’uso
funzionale di una tecnica o nella loro giustificazione. La tecnologia solo così
può andare incontro alla didattica a distanza. Didattica che, in questa
maniera, vince le differenze, appiattisce le diseguaglianze, trasforma le
difficoltà in opportunità. Certo, è complicato vincere le principali diffidenze
che sono proprio dell’insegnante più che delle famiglie, ma tentarci, proprio in
queste settimane, non sarà cosa difficile.
Il disabile a casa.
L’insegnante deve saper scegliere gli strumenti adatti allo svolgimento di
determinate attività finalizzate al raggiungimento di determinati obiettivi
anche quando queste debbano essere realizzate in modalità on line, su ambiente
virtuale e, fisicamente, a casa. Tali attività è giusto che comprendano momenti
individuali in autonomia e momenti collaborativi. Bisogna persuadere lo
studente, con diversa abilità, che la sua attività è parte primaria di
un’attività collettiva. Deve comprendere che il lavoro che compie è
complementare a quello degli altri, e, in quanto tale, necessario, e che i suoi
quotidiani interventi sono diretti all’ottenimento di un obiettivo comune.
Guai, anche intervenendo da casa, ritenere di operare per comparti. Estraniare
l’insegnante di sostegno dal comune e unico percorso a distanza attivato dagli
altri docenti di classe. In tale contesto è indispensabile potenziare ciò che
l’alunno sa realizzare e partire proprio da questo. Il docente di sostegno,
anche nell’era della didattica a distanza o in piattaforma, deve anche gravarsi
del ruolo di mediatore, ovvero di colui che sa essere e fare sia il mediatore
che il facilitatore nell’uso delle TD anche e soprattutto in ambiente virtuale.
Deve cioè far in modo di rendere usabile ciò che non lo è ancora
(l’arretratezza tecnologica della scuola italiana, comunque, complice), pur
apparendo accessibile. Ed un esempio per tutti lo rende leggibile. Di fronte
alla navigazione di un sito elementare nella sua strutturazione e dinamicità,
ma anche nel suo linguaggio, ma con dei contenuti difficili, il docente
dovrebbe avere un ruolo di sostegno nella decodificazione dei significati. Un
docente è necessario, inoltre, che sia sensibile alle modalità di studio che lo
studente concede in privilegio e ottenere da queste il massimo rendimento in
modo da personalizzare l’apprendimento semplificandolo; questo è possibile
anche organizzando ad hoc delle attività per lui. Se il docente possiede tutte le
meta-competenze indispensabili per impadronirsi di quel mondo della didattica
“speciale” interfacciata anche con l’elaboratore, potrà rendersi attore di
un’azione didattica più efficace e rivolta alla speciale normalità degli
alunni.
di Antonio Fundaro da OrizzonteScuola.it del 15.03.2020
Lascia un commento