Un campeggio estivo per ragazzi con disabilità fisiche e mentali, Camp Jened (creato negli anni ’50 e chiuso nel 2009) sui monti Catskills nello Stato di New York, a inizio anni ’70, diventa il luogo di ‘fondazione’ di un gruppo unito, libero e motivato di giovanissimi, destinato a diventare una parte importante, nelle proteste collettive per i diritti dei disabili. Simbolo di questo percorso è Judith Heumann, sopravvissuta alla polio e attivista sempre in prima linea, diventata un’icona internazionale per il suo impegno.
Una storia affascinante raccontata da un altro ‘ragazzo’ di Camp Jened, Jim LeBrecht, regista con Nicole Newnham di Crip Camp – Disabilità rivoluzionarie, disponibile su Netflix, che dopo aver conquistato nel 2020 premio del pubblico per i documentari al Sundance è dato fra i favoriti per l’Oscar al miglior documentario. Fra i primi a credere in Crip Camp ci sono stati Barack e Michelle Obama: la loro società, la Higher Ground (con la quale hanno già vinto un Oscar, per il documentario ‘Made in Usa – Una fabbrica in Ohio) è coproduttrice del film e loro compaiono anche come coproduttori esecutivi. “Quando Priya Swaminathan della Higher Ground ci ha detto che volevano essere partner nel progetto per noi è stato come sbarcare su Marte, eravamo elettrizzati – spiega Nicole Newnham nell’incontro online con Jim LeBrecht organizzato dall’American Cinemateque -. Il presidente Obama ha visto tre diversi montaggi del documentario, ci ha dato i suoi feedback ed è stato molto generoso nel promuovere il film. Ha voluto dire tantissimo per noi. E’ stato un viaggio incredibile “. Crip camp grazie all’uso dei filmati girati a inizio anni ’70 a Camp Jeden dal People’s Video Theater, ci fa scoprire da adolescenti i protagonisti della storia, che rivediamo nel presente, e la straordinaria esperienza condivisa nel campeggio. Un luogo dove erano arrivati gli echi del ’68 e i ragazzi, aiutati da giovani volontari, si ritrovavano a fare gruppo, tra nascita di amicizie andate avanti per una vita, e le prime esperienze di innamoramento e sesso. Giorni di vacanza che univano momenti di divertimento e di confronto fra coetanei, sulle difficoltà comuni, come l’assenza di privacy a cui li costringeva l’essere costantemente accuditi dai genitori; i pregiudizi che subivano e gli ostacoli anche fisici, per le barriere architettoniche o le continue preclusioni che gli imponeva la società. “L’esperienza del campo ci ha emancipati, abbiamo capito che lo status quo doveva cambiare” spiega nel film Judith Heumann. Da metà anni ’70 le manifestazioni per i diritti dei disabili si diffondono in tutti gli Usa, e nel 1977 culminano nell’occupazione simbolica, con dei sit -in, di diversi palazzi federali, in particolare a San Francisco, dove la mobilitazione di 150 attivisti nell’edificio dell’Educazione, Salute e Welfare dura per 25 giorni. Un’azione (portata avanti anche grazie al supporto delle Pantere nere, che ogni giorno portavano agli occupanti i pasti) capace di focalizzare l’interesse dei media e di superare le resistenze delle autorità. Il risultato è la realizzazione del principale obiettivo della protesta, il rafforzamento e la messa in atto della Sezione 504 del Rehabilitation Act (1973). Un passaggio che vietava ogni discriminazione dei disabili nell’accesso a strutture, edifici e programmi federali, dall’istruzione ai trasporti pubblici. “Questa è “una storia ignorata per così tanto tempo, eravamo eccitati dalla chance di poterla mostrare al mondo. – sottolinea Nicole Newnham – e quando al debutto mondiale al Sundance il pubblico ha tributato un’ovazione a Judith Heumann abbiamo capito che il senso lasciato dal film era profondo”. Guardando Crip camp “le persone ci riconoscono come una comunità. Noi disabili non siamo quelli che vedete quando ci rappresentano in modo orrendo, ma abbiamo una storia” sottolinea Lebrecht, affetto da spina bifida. Con il film, “si capisce come siano le nostre vite . Quando oggi su una strada vediamo una rampa per i disabili vorrei ci si ricordasse che si è ottenuta grazie a una battaglia. Ci piacerebbe se il film alimentasse la discussione su questi temi e se le persone riconsiderassero il modo in cui pensano alla disabilità”.
Da ANSA Nuova Europa 28/3/2021
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