L’amministrazione Bacci illustra le caratteristiche della nuova casa famiglia da realizzare con il lascito testamentario, in risposta a un manifesto comparso in città
«Le eredità non sono tutte uguali. Rispetto per Daniela Cesarini». È quanto recita un manifesto comparso negli ultimi giorni in città. A firmarlo, il comitato eredità sociale Daniela Cesarini. «Diciamo basta – si legge – a una gestione scellerata e irrispettosa delle sue ultime volontà». Immediata la replica del Comune in merito alla realizzazione della casa famiglia per persone disabili nel complesso ex Giuseppine di piazza Pergolesi.
«La giunta jesina – si spiega nella medesima locandina – vuole utilizzare il lascito di Daniela (1.015.000 euro) per realizzare una casa famiglia per quattro persone e per abbattere alcune barriere architettoniche, ma questo significa tradire le volontà di Daniela perché:
– Hanno scelto una struttura privata dove non ci si può muovere in carrozzina;
– Non hanno effettuato verifiche preventive volte a garantire la possibilità di ospitare disabilità di ogni tipo;
– Non destineranno l’intera somma per realizzare una struttura adeguata, come è chiaramente stabilito nel testamento;
– Vogliono utilizzare il resto del lascito per abbattere alcune barriere architettoniche ma paradossalmente acquistano una struttura che impedirà l’agibilità a persone in carrozzina;
Daniela voleva donare a Jesi una struttura all’altezza del suo desiderio e a tal fine era destinato l’intero lascito: quindi, per le ragioni sopraelencate, ribadiamo che le scelte della giunta non ci rappresentano affatto».
Questa la risposta dell’amministrazione Bacci: «Al di là di alcune inesattezze contenute nella locandina che ha diffuso, il vero problema è che il “Comitato eredità sociale Daniela Cesarini” non ha proprio compreso cosa si intenda per casa-famiglia, le sue finalità e i protocolli socio-assistenziali previsti per farla funzionare correttamente. Non è certo una colpa, visto che la tematica è complessa. Ma se almeno i loro rappresentanti si confrontassero con l’Asp Ambito 9, che in fatto di assistenza ai disabili è riconosciuta come un modello nazionale, o anche con l’esecutore testamentario che ha condiviso il progetto, probabilmente eviterebbero di fare polemiche che da una parte non fanno onore alla compianta Cesarini e dall’altra sanno tanto di strumentalizzazione politica».
«Innanzitutto – puntualizza sempre il Comune, entrando nel merito della vicenda – il progetto della casa-famiglia rispetta obbligatoriamente le normative nazionali e regionali in materia di abbattimento delle barriere architettoniche – ci mancherebbe che non le rispettasse! – e dunque è perfettamente agibile anche a persone in carrozzina. Secondariamente il numero dei posti (5 anziché 4, ma non è questo il problema) è tarato proprio sull’idea di casa-famiglia che deve avere dimensioni contenute dove un gruppo ristretto di persone con disabilità – fisica o mentale che sia – possa convivere, svolgendo giorno e notte, con quel po’ di autonomia che ciascuno mantiene, una vita il più possibile normale, ricevendo l’assistenza prevista quando necessario, potendo uscire senza pericoli in pieno centro per fare passeggiate lungo il Corso e dunque mantenendo così relazioni sociali. Questo è lo spirito della casa-famiglia, non certo una struttura di grandi dimensioni per un numero elevato di disabili che non potrebbero certamente convivere tutti insieme 24 ore al giorno. Non a caso ci sono i centri diurni, come i due già presenti a Jesi, dove si ospitano fino a 15 persone insieme, anche con disabilità gravi, ma ciascuna seguita in maniera continuativa, dalle ore 8 alle 18, da operatori professionali. Che poi le risorse residuali siano destinate all’abbattimento di barriere architettoniche appare la cosa più naturale e coerente con le volontà di Daniela Cesarini».
Da CentroPagina 24/3/2021 di Matteo Tarabelli
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