Nonostante il DPCM del 4 marzo abbia di fatto sospeso l’attività scolastica, migliaia di assistenti all’autonomia e alla comunicazione sono costretti a stare a casa senza ricevere lo stipendio. Il ministro Lucia Azzolina: “assistete a domicilio le famiglie che hanno figli con disabilità”.
Lo scivolone ha fatto infuriare migliaia di assistenti agli
studenti disabili, perché a volte il rimedio è peggiore del danno. Per
comprendere al meglio la situazione è necessario fare un passo indietro.
Riavvolgiamo il nastro: poco dopo le 18, il ministro dell’Istruzione Lucia
Azzolina ha scritto su Facebook un lungo post. “Siamo al lavoro per fronteggiare
tutte le difficoltà di questa fase. La sospensione dell’attività didattica ha
sollevato un tema molto delicato, che abbiamo cercato di risolvere in
collaborazione con l’Anci, l’Associazione dei Comuni, che ringrazio, e che
abbiamo sottoposto e fatto approvare ieri sera in sede di Consiglio dei
Ministri. Parlo degli assistenti per l’autonomia e la comunicazione. Figure
chiave per la scuola, veri e propri educatori che danno supporto nell’attività
di sostegno”. Alt, chi sono gli assistenti di cui parla il ministro? Sono
figure professionali altamente specializzate che assistono i ragazzi
diversamente abili nell’attività quotidiana a scuola nell’ambito dell’autonomia
e della comunicazione. Non sono docenti statali, ma sono figure chiave che
lavorano tramite i Comuni, oppure con le cooperative sociali che hanno vinto
l’appalto. Il loro pur essendo un contratto di lavoro a tempo determinato è di
fatto pagato a prestazione d’opera. Ergo, migliaia di assistenti guadagnano
solo se i ragazzi si presentano effettivamente a scuola. Con la chiusura delle
scuole: niente lezioni, niente disabili in classe, niente ferie o malattia. E
quindi niente assistenti a scuola, costretti loro malgrado, a stare a casa
senza poter ricevere lo stipendio, perché il sistema prevede il pagamento solo
per le ore effettivamente rese. Un problema sociale che al Nord interessa
qualcosa come 20mila lavoratori.
La Azzolina prosegue spiegando che “grazie alla norma che abbiamo
predisposto (gli assistenti, ndr) potranno essere chiamati per assistere a
domicilio le famiglie che hanno figli con disabilità, per la fruizione delle
attività didattiche a distanza. Oltre al supporto che in questo modo viene
garantito a famiglie e studenti, si pone rimedio anche ad un problema di ordine
economico che avrebbe riguardato questi lavoratori. Questo personale avrebbe
rischiato di rimanere a casa senza lavoro e senza stipendio”. E qui c’è il
cortocircuito comunicativo: da un lato si spinge verso la didattica a distanza,
come prevede il DCPM dello scorso 4 marzo, dall’altro si invitano gli stessi
educatori a fare assistenza a domicilio. L’intenzione è lodevole: ovvero,
quella di dare un riconoscimento a queste figure professionali, ma in tempo di
coronavirus c’è il rischio di un controsenso pericolosissimo. Un rischio per
l’incolumità degli assistenti e degli stessi studenti disabili, in un momento
storico in cui si chiede alla nazione di limitare, per quanto possibile, gli
scambi e gli assembramenti.
Intanto alcune cooperative hanno sospeso – fino a data da destinarsi – il
contratto di lavoro. Se al Nord è tutto bloccato, non va meglio al Sud. In
Sicilia per esempio, la protesta di ieri davanti all’Assessorato regionale alla
famiglia ha ottenuto come effetto un incontro tra le parti per trovare quanto
prima una soluzione al problema: dato che, come sostengono gli stessi
operatori, le risorse per pagare l’esercito di assistenti sono state già
predisposte. Oggi però, si chiede ai lavoratori, che non possono fare attività
curriculare a scuola, di organizzare il tutoring extra scolastico:
“limitatamente alle ore non rese”, oppure le Città metropolitane e i
Liberi consorzi: “se lo vorranno potranno far recuperare le lezioni alla
riprese delle scuole”.
L’alternativa potrebbe essere l’accesso agli ammortizzatori sociali, ma anche
qui ci sono diversi problemi. In molti casi, i contratti non sono annuali ma
trimestrali, o addirittura mensili. A Palermo gli ultimi contratti sono decorsi
dall’8 gennaio, e con un contratto così breve gli ammortizzatori sociali sono
irricevibili in assenza di un accordo ad hoc. Aca Sicilia ha chiesto al
“Governo di utilizzare le risorse già impegnate, tenuto conto che i giorni
di chiusura per cause di forza maggiore sono assimilabili a servizio
effettivamente e regolarmente prestato e pertanto retribuibile (art. 1256 del
codice civile)”.
Non sono mancate le proteste di chi si sente beffato due volte. E così, sotto
il post del ministro Azzolina sono arrivati centinaia di messaggi. “Non
siamo badanti, non siamo baby sitter. Pensare di andare presso il loro
domicilio, senza alcuna forma assicurativa, rischiando di dover sostituire il
genitore che magari si assenta per comodità! Noi non possiamo fare le spese di
questo sistema”, scrive Daniela. “Ministro ma a noi educatori chi ci
tutela?”, chiede Giorgia. E ancora: “Noi dovremmo entrare dentro casa
di famiglie che non conosciamo e mettere a repentaglio la nostra salute e la
salute del bambino”, sottolinea Chiara. “Noi non possiamo lavorare in
assenza dei docenti – afferma Francesca -, dunque, dobbiamo lavorare nello
stesso luogo dei docenti e non a casa da soli con il disabile. Anche perché,
spesso sono alunni immunodepressi e noi possiamo essere veicoli di infezioni
varie, oltre il fatto che pure la nostra salute va tutelata. Così come si
tutelano i docenti, si tutelano tutti i lavoratori”. Nell’agenda il
ministro si è posta alcuni obiettivi da raggiungere in breve tempo: precariato,
nuovo contratto di lavoro, revisione del sistema di valutazione dei docenti ma
anche la formazione degli insegnanti e la lotta alla dispersione scolastica. Ed
ovviamente gli impatti del coronavirus sul sistema dell’istruzione. Serve una
netta sterzata alla scuola italiana.
di Roberto Chifari da ilGiornale.it del
07.03.2020
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