Parla Leris Fantini, professionista che sta lavorando al Pau del centro storico di Lucca. Tutti possono partecipare con un questionario online fino al 15 novembre.
. “Non siamo abituati a immaginare gli scenari che si apriranno in base alle scelte compiute oggi nel progettare, sia che si tratti di un’opera pubblica, sia che si tratti di un intervento privato. La cura è tutta rivolta al rispetto millimetrico delle normative e si perde, così, il focus sul destinatario: la persona”.
A parlare è Leris Fantini, professionista che ha fatto del benessere ambientale una missione e che è stato scelto dal Comune di Lucca per la redazione del piano dell’accessibilità urbana (Pau) del centro storico presentato qualche settimana fa (leggi) dall’assessora all’urbanistica, Serena Mammini, dall’assessora al sociale, Valeria Giglioli e dalla consigliera con delega alle politiche per la salute, Cristina Petretti. Per l’occasione è stato lanciato anche un questionario rivolto a tutti i cittadini: per compilarlo (clicca qui) c’è tempo fino al 15 novembre.
Il Pau, che è parte del lavoro per il piano operativo ed è coordinato dall’ufficio urbanistica, ha come obiettivo un nuovo modo di percepire le trasformazioni dello spazio. “La disabilità è un attributo che, a ben vedere, nulla esprime sulle persone: è l’ambiente, semmai – spiega Fantini – a essere disabile, a determinare disparità. Si pensi anche solo a una stanza con le pareti dipinte di rosso: quel colore è associato dalla nostra mente all’allarme, al pericolo: dopo poco, chi si trova in quella stanza inizierà a sentirsi a disagio o in ansia. L’ambiente esterno condiziona lo stato di salute delle persone e il progettista ha la stessa responsabilità di un medico. La disabilità nasce da un cattivo rapporto tra ambiente e persona”.
Un esempio che pone bene l’accento sull’universalità delle esigenze che la relazione con l’intorno pone. Tutti, insomma, possono imbattersi in un ambiente sfavorevole. Spesso, è solo questione di tempo. “Quando si è giovani e forti non si presta attenzione a uno scalino, all’assenza di punti di sosta lungo un percorso o anche a una eccessiva eco in una stanza. Con gli anni, però, emergono esigenze diverse e lo spazio pubblico – osserva Leris Fantini – per essere davvero di tutti e onorare il nome che porta, deve sapersi offrire. Deve accogliere e includere”.
Un obiettivo di civiltà che, tuttavia, nelle progettazioni non è preso in giusta considerazione. Perché, nonostante le leggi in vigore fin dal 1986, ancora oggi abbiamo edifici e città ‘disabili’? Buona parte di responsabilità potrebbe ritrovarsi nei percorsi formativi delle professioni tecniche. “Esistono scuole di specializzazione e master sulla progettazione universale – dice Fantini – e va benissimo. Ma questi non sono aspetti da approfondire in un secondo momento e solo se si ha la sensibilità o l’interesse per farlo. La cultura del progetto che metta la persona al centro è troppo spesso assente nell’acquisizione delle competenze di progettazione di base. Si ricerca l’espressione estetica, la funzionalità, la massima prestazione energetica, e ci si dimentica di chi abiterà gli spazi così progettati”.
Deficit che non sono a costo zero. “Una ricerca di livello europeo – informa Fantini – ha voluto far chiarezza sui costi sociali del progettare senza attenzione. A farne le spese è in primis l’autonomia delle persone e, di conseguenza, l’intero sistema familiare che ruota intorno a chi è più fragile. Si stima che un ambiente inclusivo ridurrebbe la spesa pubblica di welfare a sostegno del nucleo da 75mila a 8mila euro in 5 anni”.
Un dato impressionante, tanto più se moltiplicato per il numero di famiglie che, di qui a 20 anni, verosimilmente annovereranno persone anziane al proprio interno. Progettare per il domani significa anche prevenire, con l’attenzione, situazioni di necessità. “Nei manuali troviamo le norme, ma non sono esaustive: asseverare ai requisiti di accessibilità non significa, nei fatti, centrare l’obiettivo del benessere ambientale. Occorre assumere un punto di vista nuovo, è prima di tutto un’acquisizione culturale che sarà tanto più efficace quanto più sarà condivisa tra le diverse professionalità che collaborano alla realizzazione di un progetto”.
Anche per questo Leris Fantini non solo lavorerà al Pau (piano dell’accessibilità urbana) del centro storico di Lucca, con schedatura delle criticità e abaco delle soluzioni per ogni via o piazza, ma condurrà anche dei momenti formativi perché i dipendenti degli uffici comunali prendano dimestichezza con il nuovo strumento e ne assumano la filosofia: è da lì che può, infatti, avviarsi un sano processo di ripensamento delle progettazioni.
“Quando si lavora per un ente pubblico – aggiunge Fantini – si è spesso in lotta contro il tempo e ci si deve preoccupare, prima di tutto, di far le cose secondo le leggi esistenti. Quel quid in più di attenzione alla persona, che farebbe la differenza, resta sacrificato tra scadenze e adempimenti burocratici. Come se il confort, il vivere bene uno spazio, il sentirsi a casa e sicuri nella propria città fossero aspetti secondari. Non è così”.
Continua l’analisi di Fantini: “La crisi del 2008 ha portato a una battuta d’arresto per l’attività edilizia. Da quel momento si è iniziato a ragionare di più sulla qualità del costruito e si è iniziato a progettare interventi sostenibili dal punto di vista energetico e prestazionale. Si è puntato di più sulle linee, sui materiali da preferire. Ma ancora non abbiamo rimesso al primo posto la persona. Eppure le case, le città, esistono solo in funzione delle persone e l’esperienza del coronavirus, adesso, ce lo sta confermando”.
Il percorso professionale di Fantini a servizio degli enti pubblici parte negli anni Ottanta. Quasi 40 anni di lavoro, 60 piani redatti e tanti pregiudizi incontrati lungo la strada: “Uno dei più coriacei – dice – è quello che un’opera accessibile non possa essere bella o che, di per sé, deturpi la bellezza esistente. Su questo punto bisogna lavorare ancora tanto e stimolare il design degli elementi di arredo urbano a fare la propria parte”.
“Negli ultimi anni – prosegue Fantini – la giurisprudenza sta colmando, con sentenze interessanti, vuoti normativi: i progetti non inclusivi generano discriminazione, con conseguenze anche penali. Certo è che il vero scatto in avanti ha bisogno dell’impegno comune di chi ogni giorno combatte importanti battaglie per i diritti delle persone con disabilità. Le associazioni hanno spesso gli stessi obiettivi ma faticano a lavorare insieme, ciascuna va per la sua strada, disperdendo così preziose energie. Lucca ha le dimensioni giuste perché i diversi interlocutori compiano questo sforzo sinergico e raggiungano risultati importanti. Ma per farlo – conclude Leris Fantini – è necessario un dialogo dinamico, un’apertura di respiro europeo che la città non ha ancora. Nel corso della sua storia Lucca si è protetta e le Mura, che danno forma talvolta anche al pensiero, lo testimoniano. È tempo che questa città, già molto vivibile e a misura di persona, confermi nell’oggi questa sua vocazione ed eredità”.
di Elisa Tambellini da Lucca in Diretta del 5/11/2020
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