Il Sodoma è stato uno dei maggiori artisti del primo Cinquecento: era di Vercelli, ma nella sua città natale si conserva una sola opera, la Sacra Famiglia del Museo Borgogna. Ne parliamo in questo articolo.
L’unica opera del pittore vercellese Giovanni Antonio Bazzi (Vercelli, 1477 – Siena, 1549), detto il Sodoma, presente ancora oggi nella sua città natale è una Sacra famiglia con angelo e san Giovannino conservata al Museo Borgogna, grazie all’acquisto del dipinto da parte del fondatore del museo, l’avvocato e collezionista Antonio Borgogna. Quest’ultimo infatti comprò l’opera nel 1895 a Milano all’asta della raccolta di Antonio Scarpa, medico e collezionista di Motta di Livenza (Treviso), alla cifra di poco più di 11mila lire. È da quell’anno dunque che Vercelli possiede una testimonianza pittorica del suo più illustre artista del Cinquecento: prima di allora infatti la sua città natale ne era totalmente priva. Anche se nato a Vercelli, il Sodoma frequentò qui solo la bottega del pittore Giovanni Martino Spanzotti (Varese, 1455 circa – Chivasso, ante 1528), ma poi giovanissimo si allontanò per trasferirsi prima a Milano, dove entrò in contatto con i leonardeschi, e successivamente a Siena, a partire dal 1501 circa, considerata sua città d’adozione.
Secondo le fonti documentarie locali, che vengono analizzate nel volumetto Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma. Fonti documentarie e letterarie scritto da Roberto Bartalini e Alessia Zombardo, si erano stabiliti a Vercelli vari nuclei familiari originari di Biandrate tutti accomunati dal cognome de’ Bazzi e dall’attività di calzolai. Apparteneva a una di queste famiglie anche Giacomo di Antonio Bazzi da Biandrate, anch’egli calzolaio, che nel 1475 prese in affitto a Vercelli una bottega con casa dove esercitare la propria professione; si unì in matrimonio l’anno successivo con Angelina di Niccolò e dalla loro unione nacquero tre figli: Giovanni Antonio, Nicola e Amedea. L’ultima presenza di Giovanni Antonio a Vercelli è attestata dal testamento del padre, nel periodo in cui il figlio stava per terminare l’apprendistato presso Giovanni Martino Spanzotti. Si sa con certezza che già nel dicembre 1501 Giovanni Antonio era assente dalla città perché la madre, diventata vedova, stipulò una convenzione con il figlio Nicola per cui trenta fiorini milanesi ricavati dalla vendita di un pezzo di terra coltivata, destinati al mantenimento del figlio, avrebbero dovuto essere a lei restituiti nel caso in cui Nicola fosse subentrato alla porzione di eredità del fratello Giovanni Antonio, assente dalla città natale.
Al momento dell’acquisto del dipinto da parte di Borgogna, il catalogo d’asta attribuiva ancora l’opera al pittore Cesare da Sesto (Sesto Calende, 1477 – Milano, 1523), di formazione leonardesca; furono poi lo storico dell’arte Giovanni Morelli e il critico Gustavo Frizzoni a riconoscerne la paternità al Sodoma. Frizzoni, presente all’asta e autore di un resoconto di quest’ultima, elogiò il collezionista per aver portato a Vercelli un’opera (e tuttora l’unica) di Giovanni Antonio Bazzi, e anche perché fu quella che, a suo dire, “attrasse maggiormente, e non a torto, le simpatie del pubblico”. L’acquisto costituiva infatti il recupero di una gloria cittadina con un artista considerato tra gli esponenti di maggior spicco di origine piemontese: fino alla metà dell’Ottocento si era creduto che il Sodoma fosse nato a Verzelle, nei pressi di Siena, ma finalmente fu padre Luigi Bruzza a individuare nel 1862, tra i documenti d’archivio municipali, l’atto di nascita del pittore e a definire con ogni certezza l’esatta città di origine, ovvero Vercelli.
Il 3 maggio 1896 venne pubblicato sul giornale locale La Sesia un articolo del colonnello ed erudito vercellese Cesare Faccio, dal titolo A proposito del Bazzi e di una sua pittura, che testimoniava così l’ingresso del dipinto del Sodoma nelle sale del Museo Borgogna; a Faccio si deve inoltre la notizia dell’acquisto, la commemorazione nel 1907 del collezionista Antonio Borgogna e la pubblicazione nel 1902 di una monografia sull’artista composta da una premessa e da cinque capitoli riguardanti la vita e le opere divise in tre periodi intitolata Giovan Antonio Bazzi pittore vercellese del secolo XVI.
La gloria cittadina e la nuova riscoperta per il Sodoma è testimoniata inoltre da vari busti celebrativi compiuti su commissione di Antonio Borgogna in marmo e in bronzo: incaricò per la loro realizzazione lo scultore e docente dell’Istituto di Belle Arti, di cui il collezionista era socio, Francesco Porzio. Un busto del “Sodoma” regalato al Municipio, così titolava l’articolo uscito su La Sesia nel dicembre 1895: nella centralissima piazza Cavour si trova tuttora la scultura marmorea, mentre la replica bronzea “dal modello in marmo collocato nella nicchia del civico fabbricato prospiciente alla via della Stazione ferroviaria”, che fino al 1906 era nella libreria della casa di Borgogna, è presente in due esemplari nella Gipsoteca dell’Istituto di Belle Arti.
Il Comune di Vercelli aveva dedicato “una viuzza fuori mano” alla memoria del pittore e l’aver collocato un busto marmoreo celebrativo all’ingresso della piazza principale fece abbastanza discutere “molti concittadini di tutte le classi” perché il nome del Bazzi creava in loro l’effetto “fatto su Don Abbondio dal nome di Carneade caduto dalle labbra del cardinal Federico Borromeo”. A fronte di questo, Cesare Faccio venne incaricato come “studioso di cose vercellesi” di scrivere una serie di articoli a puntate da pubblicare su La Sesia “per soddisfare la curiosità di sapere alcuna cosa di lui”. Successivamente, su suggerimento di Borgogna, del notaio e collezionista Camillo Leone e del conte Federico Arborio Mella, direttore dell’Istituto di Belle Arti, gli articoli pubblicati sul giornale locale vennero riuniti in un volume che lo stesso Faccio commentò con queste parole: “per quanto incompleta ed inefficace possa essere riuscita l’opera nostra, essa sia pur sempre sufficiente a dimostrare quale grande dipintore, per quanto non sempre uguale a sé stesso, sia stato il Sodoma. E quest’altro ancora fermamente crediamo: di aver dimostrato cioè, che questo grandissimo artista deve essere considerato come il luminare più fulgente di quella scuola Vercellese di pittura, che occupa nella grand’arte dei secoli XV e XVI onorevolissimo posto, in quella pagina illustre della storia dell’arte, che va distinta col nome collettivo di scuola lombarda”.
La Sacra famiglia con angelo e san Giovannino è ancora oggi uno dei capolavori più importanti del museo vercellese. La composizione fa pensare alla fase matura della produzione pittorica del Sodoma, intorno al 1510-1520, ovvero quando fece ritorno a Siena dopo aver terminato gli affreschi del chiostro del monastero di Monteoliveto Maggiore iniziati da Luca Signorelli alla fine del Quattrocento e dopo aver conosciuto la pittura di Raffaello a Roma.
Al centro della scena la Madonna inginocchiata a terra: tiene le mani giunte e indossa una veste rossa con un ampio mantello blu che le scende dal capo fino a coprirle le spalle e ripiegarsi sul terreno. Su un lembo di tessuto del mantello giace il Bambino nudo che, con un ditino con cui si tocca la guancia, guarda il paffutello san Giovannino, quest’ultimo tra le braccia di un angelo alato alla destra della Vergine. I due bambini infatti si osservano reciprocamente: il primo verso l’alto, il secondo sporgendosi verso il basso. Il dipinto è costruito su un gioco di sguardi: oltre ai due bambini, la Madonna osserva dolcemente e maternamente suo figlio, abbozzando un tenero sorriso, mentre l’angelo dalla morbida veste verde e le ali rosate rivolge il suo sguardo verso la Vergine. A sinistra di quest’ultima è invece san Giuseppe che con un piede alzato e una mano avvicinata alla fronte volge il capo verso l’alto, interrompendo il senso circolare degli sguardi tra gli altri personaggi rappresentati. Sembra infatti che l’uomo sia scollegato dalle altre figure per vedere qualcosa fuori dalla scena che lo sorprende.
Si nota in particolare il bel paesaggio che si apre sullo sfondo, con alberi, piante e persino un ponte su un fiume: si tratta indubbiamente di un richiamo ai leonardeschi, con cui il Sodoma ebbe modo di entrare in contatto nel 1498 circa, quando si trasferì a Milano, nonché alla pittura dello stesso Leonardo, maestro assoluto nel rendere su tela la natura e il paesaggio come elementi vivi e tangibili. Richiamano la pittura di Leonardo anche lo sfumato con cui il Sodoma rende la pelle, e in particolare i volti, dei personaggi: è in grado così di dare profondità e luminosità alle figure qui rappresentate, tanto da farle sembrare vive, come se emettessero un respiro.
La Sacra famiglia del Sodoma ha in sé delicatezza, originalità, cura dei dettagli, celebrazione dei maestri: elementi che rendono Giovanni Antonio Bazzi uno degli esponenti più significativi del panorama cinquecentesco del Nord Italia, a cui si può “perdonare” la sua “vita d’artista eccentrico”, come l’ha definito Vasari, che nel corso della storia dell’arte gli valse talvolta qualche sguardo controverso.
Articolo di Ilaria Baratta da La finestra sull’Arte.
Il museo risulta accessibile come indicato dalla pagina dedicata all’accessibilità del museo.
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