Può essere “eccitante”, “volitivo”, “morbido” ma anche “freddo”, “irritante”, “nostalgico”: è il tatto, senso che – per Filippo Tommaso Marinetti – è il nuovo cuore pulsante dell’arte. Lo annuncia cento anni fa, il 14 gennaio 1921, al Théâtre de l’Oeuvre di Parigi. Il padre del Futurismo declama a gran voce: “Nasce un senso visivo alla punta delle dita, il tatto si scinde in diversi modi e si localizza in altri punti. I gomiti vedono. Le ginocchia ascoltano”.
Da dove gli provenga il pensiero del Tattilismo – il cui manifesto originale è esposto al Museo Tattile Omero di Ancona e che oggi l’editore Fve pubblica per la prima volta in volume (Tattilismo. Lo splendore geometrico e meccanico) – è lui stesso a raccontarlo. “Una notte dell’inverno 1917, scendevo tastoni nel sotterraneo buio di una batteria di bombarde per raggiungere senza candela il mio giaciglio. Mi preoccupavo di non urtare ma urtavo baionette, gavette e teste di soldati dormienti. Mi coricai e non dormii, ossessionato dalle sensazioni tattili che avevo provate e catalogate. Quella volta, per la prima volta, pensai ad un’arte tattile”.
È la guerra, l’esperienza in trincea nella Grande Guerra a ispirargli l’idea della pelle come “conduttrice di pensiero”, quale soluzione al disarmo emotivo degli uomini e delle donne che portano, secondo Marinetti, “i sintomi di un male profondo e misterioso”, stretti nella morsa di “un pessimismo senza speranza” che li induce ad accumulare beni materiali. Per rimarginare questa ferita e salvare l’essere umano dall’inabilità ad accostarsi alla vita, l’artista intuisce la necessità di un nuovo vitalismo basato su un ritrovato contatto con il mondo: riscoprire e la propria sensibilità percettiva. Nascono così le Tavole tattili, opere d’arte per il rinascimento della “conoscenza sensoriale”. Rinascimento, sì, perché occorre tornare a uno stadio di pre-conoscenza: come il bambino si muove, spaventato ed eccitato, alla scoperta del mondo e tocca tutto, lo stesso deve fare l’uomo per fare pace con l’esistere. I materiali sono i nuovi trasmettitori delle emozioni (intuizione che si rivelerà importante per artisti quali Munari o Burri): il velluto per eccitarsi, la lana per immalinconirsi, la carta vetrata per irritarsi. Nella sua folie creatrice, Marinetti consiglia di stare chiusi in casa e indossare guanti per “allenare i sensi”. Ed ecco che facciamo un salto ai giorni nostri, ai tempi del confinamento e delle restrizioni da pandemia, quando proprio toccare (l’altro, le cose, il mondo) è la proibizione maestra. E chissà se anche stavolta giungerà l’Arte a salvarci.
Da Il fatto quotidiano del 3/12/2020
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