Il machine learning trasforma un segnale vocale in un testo o traduce il gesto in un comando. Ogni prodotto pensato per un uso facilitato.
Immaginate di non poter parlare né vedere. Solo sentire i suoni. Poi vi
accorgete che, premendo un bottone, potete esaudire i vostri desideri: un tocco
e la musica si accende. «Ora mio fratello è molto contento e tutta quanta la
nostra famiglia può interagire con lui» racconta Lorenzo Caggioni, che ha messo
a punto per il fratello Giovanni il prototipo Diva, il dispositivo che,
premendo un bottone, consente di interagire senza parlare con l’assistente di
Google.
«Ora siamo lavorando a un’app Action Blocks per smartphone Android – spiega
Caggioni, software engineer accessibility a Google – che offre delle
scorciatoie, tramite icone, per dare comandi a Google Assistant». Una soluzione
che può essere utile a molte persone, non solo disabili. Google – come Apple e
Microsoft – guarda non solo a quel 15% di persone, pari circa un miliardo, che
sono disabili (e sono in aumento a causa dell’invecchiamento della popolazione)
ma anche a coloro che vivono una disabilità temporanea (come una gamba rotta) o
una situazione particolare (lavorare o muoversi con un bambino in braccio). «La
missione dell’accessibilità è parte integrante di Google – spiega Brian Kemler,
Product Manager di Android Accessibility – Tutti dovrebbero essere in grado di
accedere al web e noi lavoriamo per renderlo possibile. Android è presente in
2,5 miliardi di dispositivi, quindi questo è particolarmente importante.
Inoltre, come la maggior parte dei progressi effettuati nell’accessibilità, anche
queste nostre tecnologie andranno a beneficio anche delle persone senza
disabilità».
Ma come fare in modo che l’accessibilità non resti solo una enunciazione di
principio? «Cerchiamo di rendere tutte le nostre piattaforme e prodotti
accessibili a tutti – spiega Kemler – Un non vedente può usare Gmail e qualcuno
che è sordo può usare Live Caption per capire i video che compaiono nel proprio
feed di Twitter o Instagram. Inoltre, possiamo applicare i progressi del
machine learning e dell’intelligenza artificiale. Per esempio, una persona
sorda può usare Live Transcribe su Android per poter leggere le didascalie di
una conversazione con la propria famiglia».
Cosa fa il machine Learning.
Un servizio utile per chi non ci sente ma anche per chi si trova in un contesto
in cui l’audio va disattivato. Negli ultimi anni, l’Ai ha contribuito a far
progredire l’accessibilità, ricorda il manager. Grazie agli algoritmi di
machine learning, le tecnologie Google sono in grado di riconoscere i suoni e
trasformare un segnale vocale in un testo scritto e viceversa, così come di
riconoscere le immagini e tradurre un gesto in un comando: è il caso di
Teachable Machine, che mostra come attraverso il machine learning sia semplice
istruire un computer per eseguire azioni diverse a seconda della postura di chi
lo usa, facilitando così le interazioni per chi ha una disabilità motoria.
Come è cambiata Google.
Per arrivare a questi risultati il colosso di Mountain View ha dovuto anche
pensare all’organizzazione interna. «L’accessibilità è parte integrante di ogni
team di sviluppo prodotto . La missione del team centrale per l’accessibilità è
di supportare il resto di Google per costruire prodotti accessibili e
inclusivi. – racconta Kemler – Abbiamo membri del team con e senza disabilità.
Il loro lavoro è anche guidare tutti i team di prodotto su come incorporare
l’accessibilità nel processo di progettazione, costruzione e test; la creazione
di strumenti automatici per i test e le analisi che i team (e gli sviluppatori
esterni) possono utilizzare per verificare la presenza di problemi comuni di
accessibilità; l’ascolto della comunità per sviluppare una comprensione più
profonda di come sono utilizzabili i nostri prodotti e dei modi per
migliorarli» spiega Kemler. La prossima frontiera è la disabilità cognitiva.
Giovanni, il fratello di Lorenzo Caggioni, oltre che essere non vedente e muto
ha la sindrome di Down. «L’app che stiamo progettando è solo l’inizio –
aggiunge Caggioni – per arrivare a soluzioni sempre più utili e accessibili all’utente
finale e ai suoi caregiver».
di Alessia Maccaferri da Il Sole 24 Ore del 10.01.2020
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