«L’obiettivo da raggiungere – scrive Salvatore Cimmino – è quello di migliorare il benessere delle comunità, promuovendo la coesione e quindi la costruzione di contesti in cui la solidarietà, l’accessibilità, in una parola l’inclusione, diventino regola e non un fatto eccezionale, e solo insieme potremo riuscirci. Non abbiamo bisogno di muri, ma di ponti, per riuscire a costruire, dopo la pandemia, una società cooperativa, solidale, responsabile, ecologica, eterogenea e aperta, in una parola, per tutti e di tutti»
«Non abbiamo bisogno di muri, ma di ponti – scrive Salvatore Cimmino -, per riuscire a costruire, dopo la pandemia, una società cooperativa, solidale, responsabile, ecologica, eterogenea e aperta, in una parola, per tutti e di tutti»
L’essere umano è capace di grandi azioni positive, di generosità, ma anche di odio ed egoismo cieco fino all’indifferenza verso il prossimo. Questa è la “disabilità” da combattere e l’unica possibilità di sconfiggerla fino a rimuoverla è quella di promuovere percorsi di coesione sociale nelle comunità e di mettere in atto politiche di inclusione.
Dopo oltre
due mesi di restrizioni, l’aumento delle persone, in particolare modo con
disabilità e anziani, a rischio di esclusione sociale è una delle emergenze
che siamo chiamati ad affrontare con estrema urgenza. Gli effetti della
pandemia sono stati devastanti per il nostro Paese e la fascia di soggetti in
difficoltà si è allargata talmente tanto da mettere a serio rischio la tenuta
sociale dell’intera Penisola.
Mi riferisco in particolar modo alle famiglie nel cui seno vivono persone
con disabilità gravi e gravissime, lasciate sole, che per questo si trovano
in condizioni allarmanti e che, con molta probabilità, peggioreranno con il
protrarsi dell’emergenza sanitaria e dell’indifferenza, con il conseguente
aumento del tasso di povertà.
L’aumento di episodi di indifferenza o addirittura di ostilità verso le persone
con disabilità e gli anziani è indice di insicurezza e sintomo di un processo
in atto di disgregazione e deriva verso atteggiamenti di chiusura ed egoismo.
A fronte di
tale contesto le politiche sociali mostrano serie difficoltà perché
centrate su interventi frammentari, dimostrandosi prive di un disegno
strategico. Penso, ad esempio, ai PEBA, i Piani di Eliminazione delle
Barriere Architettoniche, che malgrado facciano parte della nostra legislazione
sin dal lontano 1986 (Legge 41/86), sono stati però adottati da pochissimi
Comuni.
Dentro questo clima è sempre più difficile provare quale sia il valore aggiunto
che può derivare dalle relazioni, in particolare quelle legate a una
partecipazione alla vita collettiva e alla costruzione di forme di convivenza
tra comunità o allo sviluppo di forme di responsabilità e di risposta comune ai
bisogni.
L’obiettivo
da raggiungere, e solo insieme potremo riuscirci, è quello di migliorare il
benessere delle comunità, promuovendo la coesione e quindi la costruzione di
contesti in cui la solidarietà, l’accessibilità, in una parola l’inclusione,
diventino regola e non un fatto eccezionale.
Questa pandemia ci sta insegnando che abbiamo bisogno di una Sanità pubblica e gratuita,
di ricerca scientifica, di una politica solidale, capace di futuro, di generare
modelli educativi adatti alla complessità del nostro tempo. Abbiamo bisogno che
si affermi il valore del bene comune per superare la barriera
dell’egoismo. Non abbiamo bisogno di muri, ma di ponti, per riuscire a
costruire, dopo la pandemia, una società cooperativa, solidale, responsabile,
ecologica, eterogenea e aperta, in una parola, per tutti e di tutti.
Da Superando.it-6 ore fa
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