Lettera di un gruppo di genitori di figli con disabilità: Dal 1992 si parla di integrazione scolastica, ma le buone prassi sono rare. E gli insegnanti di sostegno in questi 28 anni hanno fatto poco: quel posto a tanti serve solo per fare punteggio. È questo che deve cambiare.
Le parole sono condivisibili, ma i fatti parlano di più e solo loro dicono la verità: così, i “consigli degli insegnanti di sostegno” piacciono ma non convincono. Non convincono i genitori degli studenti disabili (che da anni sono costretti a lottare per costruire un’integrazione per predicata ma spesso malissimo praticata. Proprio il Coordinamento degli insegnanti di sostegno, di cui qualche giorno fa abbiamo pubblicato le indicazioni per la riapertura delle scuole, è indirizzata la lettera di un gruppo di questi genitori (Community Sorelle di cuore, Oltre lo Sguardo Onlus, Hermes Aps, Nuove Frontiere Aps). Una lettera amara, come amara è stata l’esperienza di tanti di loro, ben prima che arrivasse la pandemia a complicare la situazione. “Cari insegnanti di sostegno ad oggi la scuola rappresenta l’unica possibilità di integrazione e inclusione sociale – si legge nelle prime righe – Sulla carta i vostri sette consigli sono esatti, ma sappiamo per esperienza quanto sia diversa la realtà”.
Programmare?
Una chimera
Innanzitutto, “la programmazione in una situazione come questa è una chimera:
oltretutto è stato calcolato che mancheranno moltissimi insegnanti di sostegno.
Forse prima di ogni cosa bisognerebbe preoccuparsi di questo: avere l’organico
adeguato e che sia composto da persone all’altezza. Ma storicamente al sostegno
vanno insegnanti impreparati su tutto, che scelgono il sostegno per aumentare
il punteggio”.
L’integrazione?
Una battaglia delle famiglie, non degli insegnanti
Per quanto
riguarda l’integrazione. “è’ dal 1992 che se ne parla, ma si contano sulla
punta delle dita le buone prassi di integrazione e inclusione sociale, a
partire da quella scolastica – denunciano i genitori – E in questi 28 anni la
maggior parte degli insegnanti di sostegno hanno fatto ben poco per evitare che
gli alunni e gli studenti disabili fossero discriminati e isolati. Quanto è
stato raggiunto nelle scuole lo dobbiamo sempre e solo alle famiglie e ai pochi
insegnanti e dirigenti scolastici che hanno creduto nella potenza delle
relazioni umane tra pari, indipendentemente dalle differenze”.
L’assistenza
indispensabile
La vera
priorità, per i genitori, è l’assistenza degli Oepac (Operatori educatici per
l’autonomia e la comunicazione): “Molti alunni e studenti disabili non potranno
nemmeno cominciare la scuola – denunciano i genitori – perché come ogni anno
(da 28 anni) ci sarà il dramma dei fondi per l’assistenza di base. Ora, con
l’emergenza sanitaria, il numero degli assistenti dovrà raddoppiare, meglio
ancora triplicare. Perché chi farà lavare le mani ai nostri figli, chi li
porterà al bagno, chi soffierà loro il naso, chi garantirà il distanziamento
nel rispetto del principio di socialità?”.
La lettera si chiude con la testimonianza di una mamma caregiver, che è anche
insegnante di sostegno: “Mi chiamo Antonella, ho fatto per tre anni
l’insegnante di sostegno alla scuola primaria: ero una di quelle senza titolo
specifico, ma ho dato anima e cuore ai bambini che ho seguito, continuando
anche durante il lockdown, a distanza, nonostante enormi difficoltà. Ce la
mettevo tutta per essere minimamente utile ai miei ragazzi. Intanto,
l’insegnante di sostegno di mia figlia, in cinque mesi, le ha inviato tre
messaggi laconici e telegrafici. Nient’altro. Questa è la realtà con cui
dobbiamo confrontarci, al di là delle belle parole”.
Da SuperAbile INAIL 2 settembre 2020
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