Le società produttrici hanno investito molto nell’accessibilità. Ma il costo è alto per chi è fuori dal mercato del lavoro. E molte app sono ancora poco inclusive.
Se lo smartphone sa essere uno scrigno di informazioni e un potentissimo
strumento per comunicare, è anche vero che si presenta come una tavoletta dalla
superficie liscia e uniforme. Apparentemente impossibile da usare per chi è
affetto da una qualche forma di disabilità. Quando si pensa a un touch-screen
come a un pezzo di vetro, ad esempio, come fa un cieco a maneggiarlo? La
preoccupazione, nella comunità dei non vedenti, si è alzata sin dai primi
modelli. Senza tasti fisici da toccare, risultava quasi impossibile, per loro,
partecipare a questa rivoluzione digitale. E le difficoltà si presentavano
anche per altre comunità. La fetta di popolazione che soffre di una qualche
forma di disabilità è ampia: 1,2 miliardi nel mondo, di cui secondo l’Istat 2,6
milioni solo in Italia. Un «pubblico» che non è rimasto inascoltato. Le società
produttrici di smartphone e sistemi operativi mobile negli anni hanno investito
molto nell’accessibilità, trasformando questi dispositivi in una finestra sul
mondo anche per chi non vede, non sente o non riesce a muoversi.
«Sono stati fatti – racconta l’ingegnere Carlo Montanari, consulente della
Onlus Cerpa (Centro europeo di ricerca e promozione dell’accessibilità) – passi
da gigante da parte di tutti ed è subentrata una logica di “universal design”
in fase di progettazione. Qualsiasi dispositivo, al momento dell’acquisto, deve
avere oggi già in sé i requisiti di accessibilità più ampi possibile, che
permette a tutti di usarlo a prescindere da possibilità o circostanze. È stato
un fondamentale cambiamento culturale». La prima, in ordine di tempo, è stata
Apple. Nei suoi iPhone e iPad sono presto comparse funzionalità specifiche per
rendere i dispositivi universali. «Per noi è l’accessibilità è un diritto di
base: tutti dovrebbero avere l’opportunità di usare la tecnologia», ci ha
spiegato Sarah Herrlinger, responsabile mondiale dell’accessibilità di Apple.
Massimizzare l’utilizzo.
«Quando decidiamo quale sarà la prossima funzionalità -aggiunge – cerchiamo
sempre di massimizzarne l’utilizzo; osserviamo l’audience, considerando come
possiamo fare in modo che il maggior numero possibile di utenti ne tragga
beneficio. Questo è il nostro approccio, dall’ideazione alla progettazione, e
abbiamo persone con disabilità in tutta l’azienda che contribuiscono, fornendo
preziosi input e feedback». Nel giugno del 2009 Apple lancia VoiceOver, il
lettore di schermo per ciechi e ipovedenti. A cui poi si aggiungono altre
impostazioni, dallo zoom alla lente di ingrandimento fino alle descrizioni
audio, che raccontano il contenuto di un video o di un’immagine. Sebbene
secondo un sondaggio della non profit americana WebAim ancora nel 2017 oltre il
75 per cento dei non vedenti sceglieva un dispositivo iOS, anche Google negli
ultimi anni ha recuperato e sul suo sistema operativo Android ha arricchito
sempre di più il pacchetto di applicazioni dedicate. Dalla versione Android 4.4
c’è il lettore di schermo TalkBack. Così come il Voice Access, per interagire
con lo schermo attraverso la voce. «Con miliardi di dispositivi attivi
alimentati da Android, siamo onorati dall’opportunità di costruire strumenti
utili che rendono le informazioni più accessibili nel palmo della mano di
tutti. Finché ci saranno barriere per alcune persone, abbiamo ancora del lavoro
da fare», aveva spiegato Brian Kemler, responsabile dell’accessibilità di
Google, al lancio di Live Transcribe, una funzionalità che vuole far comunicare
sordi e udenti. Perché sui due maggiori sistemi operativi per dispositivi
mobile ci sono funzionalità dedicate a ogni forma di disabilità. Come la
tecnologia Bluetooth creata da Apple per connettere l’iPhone a decine di
apparecchi acustici. O come i sottotitoli e la descrizione di contenuti
presente su film e serie tv su Apple Tv+. Mentre su Android troviamo anche Live
Caption, che sottotitola in automatico ogni video riprodotto sul telefono, e un
amplificatore che permette di ascoltare meglio l’audio attraverso le cuffie o
dispositivi specifici.
Per i non udenti la vera rivoluzione è stata però la videochiamata, che
permette di comunicare attraverso la lingua dei segni. E poi la rivoluzione
degli assistenti vocali, utili per chi soffre di ogni forma di disabilità. Per
chi ha difficoltà motorie iOs ha integrato un Controllo Interruttori, che
permette di utilizzare menù e tastiere attraverso un solo tocco, Android ha una
funzionalità con cui è possibile controllare il telefono attraverso un cursore
collegato.
Nelle comunità di disabili, uno dei mantra è «Nothing about us without us»:
niente su di noi, senza di noi. Se il tema tecnologico è dunque molto sentito,
lo è anche la necessità di essere coinvolti nella creazione di questi
strumenti. Succede nel caso dei colossi mondiali – Apple, Google e Microsoft
collaborano con le organizzazioni e le coinvolgono nella progettazione – ma i
problemi emergono quando si parla di sviluppatori minori: «Perdiamo molto tempo
a bloccare iniziative che in realtà sono inutili perché non si sono ascoltate
le vere esigenze delle persone», spiega il dottor Amir Zuccalà, responsabile
dell’Ufficio Studi e Progetti dell’ Ente Nazionale Sordi. Gli fa eco Mario
Barbuto, presidente dell’Unione Italiana dei Ciechi: «L’avvento degli
smartphone ci ha aiutato a studiare e lavorare. Ma la situazione cambia quando
parliamo di app, che spesso non pongono la giusta attenzione a queste
problematiche».
Un’altra questione la solleva Vincenzo Falabella, presidente nazionale della
Federazione Associazioni italiane Paratetraplegici: «Oggi gli smartphone sono
fondamentali. Se è vero che i costi si sono ridotti, sono comunque molto alti,
considerando che le persone disabili spesso non sono incluse nel mondo del
lavoro». Un problema che guarda al futuro: «Per alcuni i dispositivi connessi
sono un vezzo, ad altri la Internet of Things può cambiare la vita. Dovrebbe
essere più accessibile in termini di costi, magari grazie a contributi
statali». I dispositivi mobili sono anche stati accuratamente catalogati – a
seconda del livello di accessibilità – dal progetto Gari. La sigla sta per
Global Accessibility Reporting Initiative ed è un sito creato dall’associazione
internazionale Mobile Manufacturers Forum, che raccoglie i produttori di
apparecchi per la comunicazione mobile. Il sito, in 19 lingue – compreso
l’italiano – raccoglie informazioni su 120 funzionalità di 11mila smartphone.
Nonché su tablet, smart tv e dispositivi indossabili. Secondo Michael Milligan,
segretario generale del Forum, i miglioramenti sono utili a tutti. Un comando
vocale risulta salvifico a chi si rompe un braccio, lo zoom è un aiuto
importante quando la vista cala, i pagamenti Nfc hanno velocizzato gli acquisti
per chiunque. «Apple ha fatto un grande lavoro, l’importanza di Android è che
viene usata da molte più persone. Noi non ci concentriamo sui bisogni generali.
Ogni individuo è diverso. Ognuno dunque deve avere la possibilità di
personalizzare il dispositivo come preferisce. Disabili e non».
Da Il Corriere della Sera del 07.03.2020
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