Speziale: “la vita delle persone con disabilità e non autosufficienti non vale meno”

Speziale: “la vita delle persone con disabilità e non autosufficienti non vale meno”

Per molti di loro il rischio di contagio è maggiore. E la gestione della malattia o anche solo della quarantena sarebbero complicatissime. D’altronde quelli per le persone con disabilità sono servizi che non possono chiudere. Come sta andando? «La preoccupazione c’è, perché il “rischio zero” non esiste per nessuno. Tutti i servizi sanitari e sociosanitari sono attivi. Non abbiamo ridotto le risposte ai bisogni, siamo presenti con la professionalità e l’umanità che sempre ci caratterizza»: la testimonianza di Franco Radaelli, vicedirettore della Fondazione Renato Piatti di Varese.

Le persone con disabilità spesso presentano patologie correlate alla disabilità che le rendono una popolazione maggiormente esposta al contagio. Le persone con disabilità, specie se intellettive e del neurosviluppo, non sempre sono in grado di assumere comportamenti consapevoli ed idonei ad evitare o ridurre i rischi di contagio. Le persone con disabilità, qualora venissero contagiate, non sarebbero in grado di gestire le proprie condizioni di salute né sarebbero autonomi in regime di quarantena. I centri per le persone con disabilità sono frequentati da decine e decine di persone ogni giorno: operatori, familiari, volontari… Tutto vero. Come – allo stesso tempo – è evidente che servizi sanitari e sociosanitari per le persone con disabilità rappresentano servizi essenziali.

Qual è la situazione? Abbiamo fatto il punto con Franco Radaelli, vicedirettore della Fondazione Renato Piatti di Varese, un ente a marchio Anffas. Varese non è nella “zona rossa”, ma come tutta la Lombardia ha un livello di attenzione da “zona gialla”. «Tutti i servizi sanitari e sociosanitari sono attivi: sono servizi essenziali, di pubblica utilità. Non abbiamo ridotto le risposte ai bisogni, siamo presenti con la professionalità e l’umanità che sempre ci caratterizza. Ovviamente abbiamo elevato il livello di attenzione, con le adeguate e necessarie misure preventive: oltre alle disposizioni delle autorità, a cui abbiamo dato attuazione, ne abbiamo introdotte altre. Certo la preoccupazione c’è, perché il “rischio zero” non esiste per nessuno. Noi abbiamo alzato le precauzioni, ma sempre cercando di far vivere alle persone con disabilità i loro progetti: le attività esterne sono state ridotte ma quelle all’interno sono state potenziate ad esempio. Il progetto di vita viene ridefinito ma non annullato: deve continuare, pur con le cautele del caso».

La Fondazione Piatti di Varese ha dato innanzitutto «sembra banale dirlo ma è importante, indicazioni di massima attenzione alle norme igienico sanitarie». Sono state poi «intensificate le attività di sanificazione e igienizzazione degli ambienti, di cui abbiamo potenziato programmi e frequenze», continua Radaelli. «Abbiamo introdotto misure per le persone che lavorano nei nostri servizi, al minimo sintomo di qualsiasi genere, anche un raffreddore, la persona sta a casa proprio per ridurre al minimo il rischio. Misuriamo la temperature due volte, in ingresso e in uscita, a lavoratori e fornitori. I fornitori entrano solo con dispositivi di protezione individuale, così che un’operazione semplice come scaricare della merce non porti rischi all’interno».

L’accesso dei parenti, nei servizi residenziali, è stato regolato già dalla scorsa settimana: «non più di un accesso per volta a paziente e si è cercato anche ridurre le compresenze nella struttura, parlando con persone in effetti si è riusciti a “spalmare” sull’arco della giornata le visite, che avvengono in luoghi sanificati. Con la raccomandazione, anche per i parenti, che al comparire del primo sintomo non vengano», racconta Radaelli. Con le mascherine? «No, nel momento in cui il parante è in una condizione di assenza di sintomi non abbiamo chiesto l’uso della mascherina. Dobbiamo anche interrogarci sul significato della mascherina per la persona con disabilità, preferiamo il più drastico fermare gli accessi delle persone con sintomi piuttosto che introdurre elementi di cui le persone con disabilità farebbero fatica a gestire il senso. Anche in questo momento dobbiamo custodire i significati».

La parte più importante del lavoro Fondazione Piatti la sta facendo proprio con le famiglie e gli operatori: «stiamo dedicando tantissime energie all’ascolto e alla formazione, per creare consapevolezza, perché la consapevolezza aiuta a gestire la situazione in modo responsabile e meno ansioso. Tenere aperto questo canale di ascolto con le famiglie e gli operatori è fondamentale, perché le famiglie hanno bisogno di essere supportate, esprimono bisogni anche di natura semplice che però hanno bisogno di esser accolti con buon senso. C’è bisogno di tanta flessibilità pur nel rigore delle misure preventive, di attenzione massima al bisogno del singolo, diverso perché ognuno vive in maniera differente questo momento», spiega Radaelli. Il caso tipico? «La famiglia del bimbo che chiede perché a scuola non può andare e al centro di riabilitazione deve venire. Una domanda legittima. Cerchiamo di dare risposte sul significato della continuità di un percorso riabilitativo, ma se la famiglia è più serena e vuole prendersi un po’ di tempo prima di tornare a frequentare, va bene così».

E come stanno vivendo questo momento eccezionale le persone con disabilità? «Mediamente con molta capacità di adattamento», risponde Radaelli. «Come sempre ci stanno sorprendendo. Abbiamo spiegato il perché alcune attività sono state modificate, ad esempio alcune attività esterne che si svolgono normalmente a cadenza fissa settimanale… Lo abbiamo fatto con ausili semplici, ad esempio Anffas ha tradotto le indicazioni dell’Istituto Superiore di Sanità in linguaggio facile da leggere, per spiegare perché è necessario lavarsi le mani più spesso e tenere comportamenti igienico sanitari corretti. Le persone si sono adattate in modo bello, sanno vivere anche questo momento. A volte questa comprensione è più difficile: allora c’è la necessità di un impiego di professionalità in grado di gestire le reazioni alle novità e ai cambiamenti, che possono essere anche un elemento spiazzante».

Tutta Anffas – che conta 167 associazioni locali e 49 enti a marchio volti a garantire la cura, l’assistenza, la tutela di oltre 30mila persone in Italia – in questi giorni è impegnata per fronteggiare l’emergenza Coronavirus. «Alle famiglie Anffas stiamo consigliando di seguire con la dovuta attenzione ma in modo razionale ed equilibrato, l’evolversi della situazione, attenendosi scrupolosamente alle indicazioni ufficiali fornite dalle autorità competenti. Consiglio che ci permettiamo di estendere a tutte le famiglie al cui interno ci sia una persona con disabilità o non autosufficiente», commenta Roberto Speziale, presidente nazionale di Anffas. «Desidero affermare con fermezza, che il valore della vita delle persone con disabilità e non autosufficienti non è certamente minore rispetto al valore della vita degli altri cittadini. Anzi le persone più fragili sono proprio quelle che, essendo a maggiore rischio, devono vedere maggiore tutelate in questa difficile emergenza. Tutela che deve essere estesa ai familiari e agli operatori, senza il cui supporto – unitamente alla rete dei servizi – la vita stessa delle persone con disabilità potrebbe essere posta a serio rischio. Anffas ha provveduto a tradurre in formato facile da leggere e da capire le linee di comportamento dell’ ISS e a sensibilizzare l’Ufficio per la tutela dei diritti delle persone con disabilità, di recente istituzione presso la Presidenza del Consiglio, contribuendo a far emanare apposite indicazioni, già trasmesse sia alla Protezione civile che al Ministero della salute. L’auspicio che grazie alla consapevole e civica collaborazione di tutti si possa al più presto superare questa complessa ed inedita sfida».

di Sara De Carli da Vita.it del 03.03.2020

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